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ALCHIMIA: APPUNTI PER UNA SEMIOLOGIA DEL SACRO
Stefano Andreani
Libreria Editrice Aseq
Le vie scarsamente battute, quelle meno dense di speranza affettuosa, di sicurezza benevola ed anche di rigore storico, sono quelle scelte, a volte, dall’avventurosa trama dello spirito per dispiegarsi e per coinvolgere la coscienza individuale.
Questo per dire subito che l’alchimia può essere una di queste vie resa sterile, come si sa, da visioni del mondo più quantitative, più tese verso l’immediatamente efficiente, verso il banale della conquista e del possesso, questa arte sacra «coinvolge» ancora, se non altro per la sua poeticità, per la sua capacità di vivificare e creare metafore letterarie.
L’alchimia è stata considerata un’imprecisione scientifica, un modo puerile di coinvolgere gli accadimenti e la conoscenza o, anche, un rifugio per parafrasi mistiche ed esoteriche, un formulario «in punta di segreto», che unisse eletti ed eleggibili. Compito di questo lavoro è quello di presentare l’alchimia come metafora, ma si badi, non una metafora lessicale di un qualche modo puerile di conoscere il mondo, ma una metafora, quanto mai appropriata, del bisogno umano del sacro e dell’ineffabile.
Ci vuole un lungo esercizio, magari una buona volontà, dolce e concreta, per capire che il «dio nascosto» è nascosto per eccesso di umiltà, e non per volontà di potenza o d’elezione. Proprio ciò dischiude all’umile la speranza di essere in qualche modo in sintonia col «sacro» riconoscendone e perpetuandone i «segni». È necessario che però l’umiltà s’unisca al candore per non correre il rischio di perdere di vista la metafora, quando essa è essenziale più per la forma che per il suo contenuto.
Questa bella realtà non è naturalmente possibile a chi scrive. Ci si è così dovuti accontentare d’accostarsi ad un’«arte di riconoscimento del divino» attraverso le strutture spesso banali di una curiosità intellettuale.
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