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Il bevitore
(20/10/2004)
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Non so
se avessi una buona ragione per ridurmi in quello stato, ma di fatto
ero diventato uno straccione dopo che mi avevano licenziato dal lavoro.
Abbandonato da mia moglie, dai miei figli, che ora si drogavano, e
dai miei amici, svaniti nel nulla uno dopo l'altro, ero rimasto completamente
solo.
Bevevo,
sì, e tanto anche. Era una piccola consolazione per
il sabotaggio sistematico che la vita aveva attuato nei miei confronti.
All'inizio avevo un itinerario fisso, vagavo bar dopo bar alla ricerca
dello stordimento anestetico dell'alcool, per tro vare un attimo di tregua
dai miei dolorosi pensieri.
Quando
divenni una spugna cominciai a svegliarmi ogni mattina in posti diversi,
sen za ricordare nulla della notte appena trascorsa, con un mal di testa
feroce che solo un altro bicchierino poteva calmare.
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Dopo un
po' smisi anche di tornare a casa, tanto era vuota, e cominciai a vagare
per le strade, ubriaco, a dormire dove mi capitava, su una panchina,
sotto un ponte, in una scatola di cartone davanti alla stazione. Non
mi importava pi ù di niente, speravo solo che la mia pazzia
un giorno mi avrebbe concesso di non risvegliarmi più. Perché anche
da alcolizzato la mia mente era ancora lucida, tanto da ri portarmi
alla realtà ogni qualvolta mi distraevo dalla mia ricerca dell'oblio
alcolico. I muscoli del mio corpo ormai non ubbidivano più,
ed ero consapevole della mia lenta autodistruzione: forse nel mio
inconscio consideravo tutto questo come una giusta punizione, alla
quale però non mi potevo più sottrarre. Eppure continuavo
a domandarmi: perché a me? Perché io, sempre geniale
e sicuro di me stesso; perché mi doveva capitare una sfortuna
simile...? Mi sembrava di vivere un'altra vita, completamente
diversa da quella precedente .
Uno di
quei terribili giorni riuscii a bere molto di più del solito e già era
tanto, e, mentre nel parco mi stavo rifugiando sulla panchina abituale,
scivolai lentamente nella nebbia del nulla, addormentandomi come se
una tenda fosse calata isolando completamente il mio essere. L'ultima
cosa che pensai fu: questo è il nulla!
In quel momento mi svegliai
di colpo e una cascata di luce ferì le mie pupille. Quando
riuscii a mettere a fuoco l'ambiente che mi circondava, scoprii con
grande meraviglia di trovarmi disteso in un enorme letto a baldacchino,
dentro una camera altrettanto imponente tanto da sembrare quella di
un re. In un angolo, era poggiato uno specchio di grandi dimensioni,
dai bordi finemente intarsiati.
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Spinto
da uno strano presentimento decisi di alzarmi e an darmici a specchiare.
L'immagine riflessa rivelò che le mie paure erano fondate:
ero ospite di un corpo estraneo ! La mia mente, cioè io, si
trovava dentro il corpo di un estraneo che non mi assomigliava nemmeno.
Non sapevo se piangere o ridere; sicuramente stavo sognando.
Cercando
di distrarmi da questi pensieri terribili, in attesa di capirci qualcosa,
concentrai la mia attenzione sugli oggetti contenuti nella stanza dove
mi trovavo. Le pareti erano adorne di numerosi dipinti, tutti ritratti
di famiglia, di persone a me totalmente sconosciute, anche se avvertivo
una vaga familiarità tra il mio nuovo corpo e le loro immagini.
Sì, quei volti erano certamente noti al mio ospite.
Quasi
per caso scoprii, durante la mia indagine, uno di quei cordoni che
pendono dalle pareti che, come si vede nei film, nelle case dei ricchi
servono a chiamare la servitù . Mi misi così a tirarlo
ripetutamente finché esausto mi sdraiai sul letto. Le lenzuola
di finissima seta erano profumate alla violetta e il tutto produceva
un effetto assai gradevole. Il rumore di passi che si avvicinavano
mi distolse da queste considerazioni e concentrai tutta la mia attenzione
su quanto stava per accadere.
La
grande porta si aprì scivolando silenziosamente sui cardini
lasciando entrare due paggi che si disposero subito ai lati di essa.
Di seguito ai paggi entrarono due damigelle cariche di oggetti e vesti
preziose. Dopo averle disposte con cura secondo un ordine, per loro
abituale, mi presero, mi spogliarono e mi deposero in una vasca profonda
e spaziosa, che si apriva nel pavimento della stanza da bagno comunicante,
fino a poco prima simulata da una falsa parete.
Io
volevo parlare, chiedere, ma tutti ridevano e non mi prestavano
attenzione. Nonostante la mia curiosità insoddisfatta, devo confessa
re che godetti non poco da quel bagno. Dovevo essere un nobile, o comunque
una persona molto importante per ricevere un simile trattamento. Dopo avermi
asciugato con dolce maestria, mi fecero indossare vesti preziose e finemente
ricamate. Non potevo certo lamentarmi, anche se un muro di silenzio mi separava
da loro.
Mi
condussero poi, attraverso un lungo corridoio, fino ad un ampio cortile con
al centro una vegetazione lussureggiante, e mi lasciarono solo. Quasi
subito mi accorsi di non essere completamente solo. Mi voltai e vidi
una donna immersa in una coltre di luce così splendente da
abbagliarmi, e che sembrava scaturire da una nube nera. Ella mi porse
un enorme libro aperto, sulle cui pagine lessi un nome, e subito capii
che era il mio, e che quello era il Libro della Vita. In quell' istante
una voce risuonò nella mia mente: "Libertus, così ti
chiamerai sempre, qualunque nome tu abbia avuto prima. Esso contiene
le energie che ti occorrono, pronuncialo per tre volte".
Incredibile,
non avevo udito nulla eppure sapevo che era stata lei a parlarmi. Feci
come aveva ordinato e gridai: “Libertus! Libertus ! Libertus !”.
Immediatamente,
un fragore assordante ruppe il
silenzio. Un'esplosione di luce mi investì, e quando tutto
si calmò scoprii di essere in un prato. Vestito di una bianca
tunica, mi
trovavo al centro di un cerchio formato di fiori di ogni colore.
Accanto a me c'era un vecchio pozzo di pietra, con la carrucola e il
secchio per tirare su l'acqua. Tutto intorno al pozzo erano disposte
panche di pietra.
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Ad un
tratto udii una musica molto bella che non avevo sentito mai prima
e una schiera di persone vestite di lunghe tuniche bianche entrarono
in quella specie di gazebo. I nuovi arrivati si sedettero, e notai
che ognuno di loro aveva un pugnale d'oro appeso alla cintola. Erano
molto anziani ma belli e mi fissavano sorridendo. Un nuovo corteo
fece il suo ingresso: erano donne magnificamente vestite e dietro
di loro veniva una dama dall'aspetto regale che indossava un lungo
mantello tempestato di pietre preziose, i cui lembi erano portati
da un nano.
Dopo
che le donne si furono sedute, la regina batt è le
mani e disse: "Si dia inizio alla cerimonia". Il nano
replicò: "Che egli sia messo alla tortura". "NO!" fece
la Regina.
La
Regina e due damigelle si avvicinarono a me: lei portava
un cuscino rosso sul quale era poggiato un pugnale con una catena
d'oro. Me lo appese al collo e io domandai incuriosito: "Perché sul
collo? ".
"Perché lì è giunto il
tuo lavoro" e mi diede un colpetto sul la gola.
La Regina disse: "Facciamo
presto perché devo andare ad Ankara a guarire una ragazza
che soffre molto e non ho molto tempo da dedicarti”.
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In
quel momento mi accorsi delle nuvole che si stavano pericolosamente
addensando nel cielo sopra il mio capo. Un fulmine squarciò il
cielo e una vampata di Fuoco mi avvolse completamente. La paura s'impadron ì di
me. Poi tutto torn ò calmo. Mi avevano ripor tato dentro
il cerchio. "Vedi quel pozzo — mi disse la Regina - quel la è l'ultima
prova. Dovrai montarci sopra ed un altro fulmine ti colpirà .
Se cadrai insieme al pozzo, sarai inghiottito dalle acque sotterranee,
ma se resisti sarai completamente purificato e salvo. Ma ora è tardi — disse
battendo nuovamente le mani - la cerimonia continuerà un'altra
volta”. Si alzò , mi salutò con un sorriso e si avviò.
Uno ad uno tutti la seguirono, ed in breve non rimase più nessuno.
Fui preso dalla paura, non sapevo pi ù che fare. Mi sedetti,
chiusi gli occhi e pensai di capire il significato di quello che mi
era accaduto.
Mi addormentai.
Quando mi svegliai, ero nel mio letto,
accanto a me mia moglie asciugava il sudore della mia fronte, e miei
figli mi guardavano con amore. "Ti sei lamentato tanto in questi
tre giorni, caro". Mi disse mia moglie. "Hai avuto la febbre
molto alta ma ora è passata" .
Mio figlio scostò le
tende della finestra e la luce del sole inondò la stanza
mentre dal giardino saliva l'allegro cinguettio di un uccello. |
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di
Alfredo Di Prinzio |
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