Il Matto è senz'altro la lama più sfuggente e intrigante nel pantheon simbolico dei Tarocchi; esaminarla da un punto di vista puramente razionale ed ortodosso, metterebbe in luce l'aspetto che appare a prima vista.
Una figura bizzarra, dall'incedere incerto e dallo sguardo trasognato che nulla di equilibrato lascia trasparire.
Tuttavia quest'aria o atteggiamento indefinito, quindi diffìcile da collocare, è presente nell'iter iniziatico che i Tarocchi tramandano; sembra perciò, un controsenso che la più alta iniziazione all'Arte Reale, conservi nel suo magistero, qualcosa di sregolato.
Probabilmente, però, questo folle, all'apparenza distratto, ci induce a far attenzione e considerare i particolari che altrimenti nel frastuono quotidiano, non vediamo.
La sua lama non ha numero, perciò non può essere identificata o catalogata secondo gli standard intellettuali correnti; pur tuttavia essa è contraddistinta da un simbolo che è la lettera shin dell'alfabeto ebraico.
Il Matto, perciò, non svela la sua reale funzione, se non a coloro che dopo averli attraversati, hanno superato tutti i cliché di un sapere saputo, bene o male pilotato e squadrato. Solo chi conosce può interpretare.
Ecco quindi che a chi ha sollevato il velo di Iside, lo shin evoca il raggiunto equilibrio per mezzo del quinto elemento, posto fra gli altri quattro (aria-acqua-terra-fuoco) ; interpretabile anche come l'armonizzazione dei tré fuochi dell'uomo: quello della testa, del cuore, dell 'eros.
Questo simbolo appartiene al Matto e a nessun altro, ed è lecito quindi porsi il quesito se in lui prevalga il genio o la sregolatezza, la saggezza o la follia, l'armonia o il caos.
Credo che tutto il problema stia nel concetto di pazzia, che nell'accezione comune si ha; il Matto è colui che compiendo o pensando cose sconnesse fra loro, non rientra nei dettami del vivere comune.
Il nostro Matto, però, possiede lo shin, cioè l'armonizzazione, perciò non può andare d'accordo con chi non ha questa qualità; forse per questo la sua pazzia ha una valenza totalmente diversa.
Probabilmente rappresenta l'aspetto volutamente goliardico di una realizzazione.
Vuoi che sia usata come maschera divertente, ma che rivela anche una grande tolleranza, infatti il Matto non reagisce affatto al morso del gatto o del cane, come per accettare qualsiasi impulso istintivo che proviene doli 'esterno.
Vuoi per confondere ed attirare, verso di lui solo chi sa percepire sotto le apparenti spoglie, una saggezza diffìcile da comunicare, se non a coloro che non si accontentano delle apparenze e vogliono finalmente verifìcare prima di condannare.
Inoltre vi è un aspetto interessante, che può favorire delle analogie e riguarda l'etimo della parola pazzo; essa infatti assume il significato di sofferente, tuttavia se operiamo un "separando" e stacchiamo la consonante esse (dall'aspetto schematicamente serpentino), l'appellativo sofferente si trasforma in offerente, capovolgendo, perciò, il significato originale.
Ciò che era un sacrifìcio, o una fatica, si è trasmutato nella possibilità di un'offerta, qualcosa da portare o donare; nella fissazione di quella esse sibilante, vi è probabilmente il dono tanto importante, come valore, ma tutto sommato, minimo nel suo ingombro, che al Matto basta il suo piccolo sacco sulle spalle, per portarlo.
Pazzo o matto, come lo si voglia definire, il nostro, si è imbevuto di un nettare che gli procura ebbrezza.
Lungi dal favorire un intorpidimento dei sensi, manifesta una realizzazione dell'essere, paragonabile allo stato di euforia che si prova quando si è innamorati; quando erompe, cioè, il "fuoco creatore " che immola sull'altare del nostro corpo, le più alte ispirazioni, distogliendoci dal frastuono di una caotica esteriorità, per ricondurci verso l'uno-universo.
|