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La Fonte Meravigliosa - prima parte
(20/09/2012)

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La nera Signora dal manto di stelle stringeva al suo seno il mio sonno ormai da molte ore, quando decise di nutrirmi col dolce latte onirico che saziò Hypnos e dispormi alla visita della Grande Seduttrice.

La Venere è apparsa splendida, nel suo aspetto di Urania, ordinandomi con un cenno di seguirla.

C’inoltrammo nel fresco tepore della notte primaverile, sotto lo sguardo acceso della lucente Selene che colorava di blu diffuso il buio notturno.

Tutto era calmo e silente, brezze tiepide accompagnavano il cammino e accarezzavano piano i lunghi capelli rossi della Dea che mi precedeva dolcemente.

Il furbo sorriso dei suoi occhi, dal quale non trasparivano pensieri, idee o intenzioni, ma solo una misteriosa malizia archetipica, puntava avanti imperturbabile.

Attorno a noi alberi, prati, boschi, immersi in un’energia d’eterno equilibrato piacere, sembravano emettere silenziosi una sottile ma pervasiva e costante OM primigenia.

Verso qualunque orizzonte dirigessi lo sguardo percepivo una vibrante consapevolezza d’imperituro godimento.

La mia essenza si espanse piano in quel flusso sensuale, liberandosi, fino a darmi la sensazione leggera di un bambino gioioso che segue la madre a raccogliere bacche ed erbe medicamentose al chiaro di luna.

Guardando verso est, all’altezza dell’eclittica, riuscii a distinguere, tra le migliaia di fiori che cadevano dal cielo stellato, l’Acquario abitato dalla fiammeggiante Fosforo corteggiata dalla presenza brillante di Mercurio.

A terra due serpenti cercavano rifugio nella valva di un grosso pecten avvinghiandosi ad un bastone al suo interno. Il legno portava inciso: “REBIS MONTES” e indicava ad est l’inizio di un sentiero. Anadiomene prese quella via ed io mi affidai sicuro all’effervescente leggiadria del suo mistero seguendola.

Lasciandomi guidare scrutavo incantato le sagome scure, cullate dalla luce lunare, della vegetazione intorno, che via via più fitta lasciava, come unico orizzonte, lo splendido affresco cangiante di stelle che lancia a vertigini infinite l’immensa cupola senza peso e struttura dello zenit notturno.

Eravamo ormai in un bosco di alberi maestosi, che nella loro imponenza, come sapienti lari, distribuivano la misteriosa meraviglia della loro solida antica presenza.

Dal basso s’irradiava pervadendomi un intenso profumo di humus vivente, il respiro caldo e avvolgente della terra che inondava il mio essere nel suo atto d’amore verso il cielo.

Il sorriso acuto della Dea s’era fatto più acceso e nel contemplarlo fui preso da un piacevolissimo inebriante torpore, al quale mi abbandonai sereno fino a perdere ogni controllo razionale di me stesso.

Tiepidi raggi di sole cominciarono a filtrare dagli altissimi rami, formando bande luminose che scherzavano coi vapori del sottobosco.

In lontananza splendidi daini danzavano con i raggi del sole saltando armoniosamente veloci verso di noi.

Passandomi rapidi accanto, sembrarono quasi attraversarmi, distribuendo la loro gioiosa energia e la loro forza, mentre dall’alto lo stridio di un’aquila esplose in me vibrazioni di nobiltà e coraggio.

Ora ero al fianco della Dea e nel mio petto glabro e forte, completamente spalancato verso quel meraviglioso universo, risuonavano adamantine le più profonde e pure virtù, la splendida sinfonia della consapevolezza di sé.

Cominciai a scorgere animali d’ogni genere guizzare da tutti i lati del bosco, mentre coloratissimi uccelli popolavano del loro canto la mia mente in estasi.

Piccole figure femminili alate, di straordinaria bellezza e leggerezza, mi volavano freneticamente intorno alternandosi curiose davanti ai miei occhi.

Alcune tentavano timidamente di toccarmi il viso, altre si agganciavano con fare scherzoso ai capelli. Altre ancora giunsero con una superficie riflettente nella quale vidi finalmente me stesso. Decisi che quella forma mi rappresentava sufficientemente, ma mentre indugiavo nel contemplarla, uno stormo di colombe si levò all’incanto e tutti gli animali e quelle fantastiche creature svanirono.

C’era silenzio ora e la Dea ferma indicava col braccio teso un punto preciso nel bosco, il fulcro, il cuore pulsante di quel mondo supremo.

Attorniata da alberi di melo selvatico e da cespugli di mirto, una struttura in granito, colorata dalle ombre delle foglie e dalla luce filtrante di un unico raggio che la illuminava dall’alto, emetteva un abbondante getto d’acqua.

Mi diressi lentamente verso quella fonte, quasi in punta di piedi, la sua potente sacralità aveva annullato ogni rumore, ogni distrazione, di quel superbo mondo era rimasto solo il suo perpetuo sgorgare.

Avanzavo piano, colmo di rispetto, ad ogni passo s’adagiava in me il manto delicato della purezza e in bocca sentivo il dolce sapore dell’umiltà iniziatica.

Ero sempre più vicino e posi maggiore attenzione al suono della fonte, che sembrò mescolarsi con un misterioso canto femminile circondato da dolci risa di Krenèe. Non vedevo ancora nulla, ma percepivo piccoli punti luminosi pizzicare il buio e addensarsi in varie numerose figure.

Si andava formando, davanti ai miei occhi, uno splendido brillante carosello di colori, suoni, voci, bisbiglii, frasi suadenti in lingue arcaiche mai udite. Poi silenzio, nell’etere risuonò: – EUPHROSINE ! –, una delle entità si portò davanti a me facendomi intravedere, tra la sua forte luminosità, la forma umana di fanciulla.

Mi offerse sorridendo un giglio apparso tra le sue mani, al quale protesi delicatamente le dita, accogliendo al contatto la sua intensa energia bianca nella mia intima essenza.

Chinai il capo e portai il giglio all’altezza del petto. Le ninfe e le presenze attorno turbinarono gioiose sussurrando: – E’ tornato, è tornato! –, ma non potei nemmeno stupirmi di ciò perché all’improvviso risuonò nuovamente un nome: – THALIA ! –.

Ora ero in un campo fiorito tra selve e monti, un sole mattutino primaverile, tenui venticelli propagavano mille profumi, guardando al limitare del prato scorsi una ragazza con due piccoli cerbiatti guizzanti intorno, mi vide, mi fissò, raccolse un fiore, fece un gesto che non compresi, ebbi un lieve mancamento, serrai gli occhi, erano intorno a me, ubriacavano i miei sensi con movimenti veloci, fulminei, saltelli, balzi, sguardi, ironici, sensuali, voci da ogni luogo, le loro voci, i loro pensieri, i miei: bellezza, amore, forza, vigore, velocità, accelerazione, trasformazione, armonia, natura, rigoglio, energia, LUCE ! Luce, c’era solo luce ora, dal profondo indescrivibile della luce si fece avanti la stupenda AGLAIA vestita di trasparenze blu sfumate nell’eterea luminosità, giunse di fronte a me, occhi negli occhi, un Iris, lo presi, lo mangiai, svenni…

…Mi risvegliò il suono nel silenzio della fonte perpetua, ero adagiato sul suo basamento e nel sollevarmi percepii sotto il fogliame un’incisione: “A ME VITA FLUIT”.

Sul bordo del recipiente era seduto un giovane dai lunghi boccoli castani, teneva tra le mani uno strumento a corde tese su di un guscio di tartaruga.

Mi sorrise e con un cenno gentile della mano m’invitò ad osservare lo specchio d’acqua, vidi la mia immagine riflessa, il giovane allora sfiorò le corde eseguendo un breve arpeggio che mosse l’acqua con dei cerchi, trasformando la mia figura in quella di una Ragazza la cui bellezza conoscevo da sempre.

Era bella e la Sua stupenda bellezza incontrò tutti i miei sensi, facendoli vibrare ad altissime frequenze. Mi abbandonai. Sopra di me le stelle.

Nell’acquario, ora, Venere vegliava sul riposo di Ares e tutto il firmamento esprimeva la sua armonica approvazione con un vivace scintillio.

Fantasmagoriche scie luminose lo attraversavano, mentre i lampi improvvisi e omnipervadenti dei raggi gamma aprivano porte spazio-temporali nella configurazione delle pleiadi. Vidi infinite teorie di globi splendenti entrare e uscire da quelle aperture, al mio udito si accendevano cori e inni che stimolarono i miei vortici interiori, fino a stuzzicare la sensibilità assopita della suprema Sakti, che riflesse la mia coscienza superiore esplodendo in un vigoroso allineamento e portandomi all’estasi…

…Compresi…

 …Fu solo un attimo.

Lo specchio restituiva di nuovo il mio volto, lo osservai, attentamente, molto attentamente, troppo attentamente.

Cominciai a scrutare ossessivamente ogni particolare, dovevo piacere a quella stupenda Fanciulla, dovevo essere pronto per quel magnifico incontro.

Il mio aspetto dimostrava la mia realtà animica e doveva essere perfetto, perfetto, impeccabile.

Più lo osservavo meno mi piaceva, non mi piaceva per nulla, non mi piaceva affatto.

Un’aria fredda lambì la mia pelle, – DEIMOS ! – udii. La luce affievolì, le piante intorno alla fonte seccarono improvvisamente, un’ombra, un’ombra veloce davanti ai miei occhi, dentro di me.– Freddo –, balbettai, – Fa freddo, cosa ci faccio qui? Sono orribile, deforme, sono inutile, incapace. Non La merito, non merito nessuna felicità. –. Il freddo aumentò, un urlo sguaiato: – PHOBOS ! –. Mi accovacciai.– Fa freddo, freddo fuori e dentro, freddo solo freddo, buio, buio, solo buio, sono una larva, un ramo secco, la mia vita non ha senso alcuno, la mia esistenza non ha significato, ho paura, ho paura, ho pa…u…ra…–. Ero rigido, arrotolato a terra in posizione fetale.

Completamente privo di coscienza ero consapevole solo del nulla eterno buio e freddo che attendeva la mia inadeguatezza. Grida, ingiurie e bestemmie squarciavano la mia assenza, ma la mia rassegnazione era più forte delle loro lusinghe…

…Argano implume devoto al tempo
ansia metallica di fragore interno
rovina su di me uno Stige
amaro di sassi incolti
quando ancor l’aria
bastava ai più
stentavan l’anime
a ridursi in fiori

Ansima ancora
argano implume devoto al tempo
organo di lamento
intento a deturpare
Cocito gemente di pianto intriso
null’altro più mi resta
volto a Giano il viso
che raccoglier messi d’Averno
per l’eterno inverno
far provvista…

 …Un punto, un piccolo punto luminoso e caldo al centro della mia mente mi richiamò dalla sospensione in cui mi stavo rifugiando.

Un punto adimensionale, incomprimibile, che racchiude in sé, in potenza, nella sua infinita densità ed energia, le illimitate opportunità evolutive che scaturiscono dal confinamento dell’essenza in una condizione inconscia di massimo ordine…

…Un bimbo, la voce di un bimbo: – Sergio…Sergio! Apri gli occhi! –. Di fronte a me un grande monolito nero rettangolare perfettamente levigato. – Sergio! –.

Da dietro il monolito spuntò la testa di un bimbo, - hai visto ? - mi disse indicando il monolito, – bello vero! Osserva…–.

Si dispose in un loto semplice sotto il monolito assumendo l’aspetto di un piccolo bonzo. Lo imitai immergendomi nell’eccitante calma di quel risveglio insperato…– In verità nessun essere umano ha mai esposto la propria consapevolezza a distorsioni spazio-tempo diverse da quelle terrestri e solari, nessuno di noi sa cosa potrebbe accadere alla nostra percezione sotto l’influenza di un’altra stella o galassia.

Lo stesso sole muta costantemente le proprie qualità e intensità energetiche evolvendo le nostre coscienze verso nuove realtà. –. Lasciai che le parole del bimbo percorressero lo spazio meditativo che si andava creando, aprendo spiragli di possibili eternità e relativizzando la mia sofferenza priva di orizzonti.

Chiusi gli occhi, permisi alla dolcezza dell’incontro con la mia creatività infantile di circolare in me, fino a stabilizzarsi nella ritrovata chiarezza mentale e nell’approccio ludico alla mia interiorità.

Un mantra, un mantra tantrico si diffuse tutt’intorno insieme a vapori d’incenso Agar, quindi il dirompente amalgama di dungchen, gyaling, nga, ghanta, cimbali…ero circondato da monaci tibetani intenti nelle loro preghiere, davanti a me svettava ancora il monolito che chiudeva il cerchio dei monaci.

La forza dei mantra portò la mia concentrazione a livelli altissimi, sul monolito apparve una scritta fiammeggiante: “SI SEDES NON IS”. Accolsi la sfida. Nel mio centro si accese un calore dorato che si estese verso l’esterno, mi sollevai a mezz’aria procedendo velocemente verso il monolito e sprofondando luminoso nella sua oscurità…

 
…O sorprendente Kalì
 assorbi i tenui colori della mia egoità
 divora il tempo che ha scandito la mia piccolezza
 libera alla mia cecità le Tue scintille di bellezza senza forma
 Tu, che nel grande vuoto dell’assenza di ogni luce
predisponi i mille universi
consenti l’oblio delle mie meschinità
danza sulle ceneri delle mie fobie
e fanne concime per il loto dei Tuoi piedi…

 

…In fondo al buio due satiri danzavano divertiti al suono giocoso dei loro flauti. Procedevano su di un sentiero la cui destinazione era uno stupendo castello all’apice di un’impervia erta rocciosa.

Mi invitarono a seguirli, lo feci, ma più mi impadronivo del viottolo più il paesaggio rimaneva immutato.

I satiri danzanti ridacchiavano ribadendo il loro invito ed io, pur correndo, non avanzavo di un passo. Spossato e assetato sedetti su di una testa scolpita ad un lato del sentiero ancora preda della mia fragilità. Mi accorsi di essere sotto un albero, un albero di ulivo, la sua ombra leniva un poco la forza del sole che premeva sul mio disagio.

Si alzò il vento, sbuffi di colore permearono l’ombra che mi riparava, ora era bianca, poi gialla, quindi rossa, di nuovo nera.

– … in quel tempo, frutti crescevano senza seme e l’aratro non feriva la terra, eppure vi erano messi abbondanti e raccolti senza opera… –

Dietro l’enorme tronco contorto di quell’ulivo secolare era seduto un vecchio, dall’aspetto possente e autorevole, che riposava con la schiena all’albero, accanto aveva una falce da contadino.

– … in quel tempo gli uomini abitavano liberi la costante primavera del rigoglio e della spontaneità… –

Il vecchio narrava serenamente con voce di saggio ad un gruppo di fanciulli assorti e alzava, di tanto in tanto, lo sguardo verso i rami alti sorridendo.

– … privi d’arroganza non tentavano di aggiogare la Natura, ma La servivano e veneravano, riconoscendone la potenza e il sacro splendore, essa mostrava loro il Suo volto migliore concedendo il pieno favore dei Deva… –

Una folata di vento e improvvisamente cadde davanti a me la falce permettendomi di leggere, inciso sulla lama: “SURSUM SUSPICE! OPERIS RADIX EGO SUM”.

Guardai in alto, scorsi due figure appollaiate sui rami giocare animatamente a dadi su di una piccola tavola sospesa tra loro. – AH TRETA ! – affermò deciso e soddisfatto l’uomo con la testa d’elefante.

L’avversario, un giovane dall’aspetto atletico e asciutto, posò la lira vicino ai suoi calzari alati e prese determinato i dadi preparandosi eccitato e sicuro al lancio.

– … badate a voi fanciulli, alimentate il fuoco creativo che organizza la prima materia del vostro athanor; cercate gli occhi di colei e di colui che congiunge in voi mercuriale e sulfureo, Luna e Sole, ordinano in voi acqua e fuoco, terra e aria, seguite, fino all’alba, il volo del tre volte grande, fino a che non si poserà di nuovo su alberi che fruttificano oro. –

– KRTA ! – esclamò il giovane giocatore guardando furbescamente il suo avversario, e Ganesha, il Dio elefante, liberò una fragorosa risata, quindi ricompostosi nel loto, espresse con le mani sulle ginocchia il sigillo di saggezza e, intonando un mantra indù di rara bellezza, ascese.

Seguii con lo sguardo il suo percorso tra i bianchi cumuli e il cielo azzurro, finché luminescente e puntiforme non mi lasciò assistere esterrefatto al gioco mirabolante della controrotazione dei suoi campi energetici.

Immense e coloratissime stelle-tetraedro vorticavano coincidenti l’una opposta all’altra, incendiando l’etere di turbinanti vibrazioni luminose e sonore apparentemente caotiche e sconnesse, quindi un forte tuono e dal centro della Merkabah implodente partirono i sei raggi del monogramma di Cristo, che si completò in un esagono, per concretizzarsi poi nella perfezione del cubo di Metatron circoscritto da una sfera di luce bianca.

All’interno della sfera il cubo mutò in un doppio quadrato, mentre dal fulcro esplodeva una stella a otto punte che irruppe con forza attraverso la superficie dell’enorme globo lucente stimolandone la fulminea espansione…

…Sospeso, sospeso in un’immensità bianca, vaporosa, vibrante, immerso nella penetrante purezza dell’olibano, nel tiepido abbraccio dell’eternità, nella forza tumultuosa della stabilità, vidi di nuovo il Suo volto, i Suoi occhi accesi emanavano splendori mai immaginati, muovevano calde brezze appena percettibili nella candida uniformità, dal profondo delle Sue pupille, incastonate nello sguardo sensuale della Sua bellezza eterea, scaturiva la beatitudine dell’Assoluto…

…Mi guardava, mi osservava impassibile, sicura, severa scrutava la mia contemplazione permeando il mio stupore di sublimi inquietudini, minacciava ogni mio rifugio, lacerava il confortante limbo uterino della mia autonegazione, scardinava le comode catene dei miei piacevoli inferni senza speranza, svelava la realtà impegnativa dell’essenza, apriva a fatica la coscienza della mia fondamentale unicità isolandomi quale angolo visuale, essenziale nell’immensa geometria Divina, che cerca indefesso, al suo opposto, il meraviglioso complemento speculare con cui abbracciare la totalità…

…Cominciai a perdere lucidità, ora La vedevo confusamente lontano nella luce lattea con al fianco una splendida figura animale,   un unicorno bianco. Guardandomi maliziosa gli accarezzava con dolcezza il crine, mentre l’animale esprimeva con nervosi ma nobili movimenti in surplace la sua vitalità e il suo vigore. La Ragazza gli saltò agile in groppa lasciando, prima di svanire alla mia mente ormai quasi incosciente, un sorriso e un memento sussurrato…   

     …si sedes non is…

…si sedes non is…
 
… si non sedes is…

…il castello…devo raggiungere …il castello…


 

 
- Continua nel prossimo numero-
Sergio Adreani
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
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