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Un sogno particolare
(20/01/2010)

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La città appariva silenziosa e privata di ogni movimento, oltre il loro lento incedere e la danza di qualche foglio di carta che volteggiava ad altezza suolo per via della brezza leggera. Gli edifici proiettavano ombre tremolanti verso i tre compagni di cammino.

M:Io continuerei per la strada principale, qual è il vostro pensiero?
V: Si sono d’accordo, non conosciamo il tragitto e non possediamo una mappa del posto.
O: Si va bene anche per me, quando non si conosce la via, ogni strada va bene. Stavo notando le forme degli edifici, non vi ricordano alla lontana l’architettura imperiale? Tutte queste strutture squadrate, bianche, con fregi geometrici…
V: Più che preoccuparmi di come sono fatti, mi viene da riflettere su cosa sia questo posto. Mi da una sensazione di familiarità, anche se sono sicuro di non conoscerlo. Condividete questa sensazione?

Gli altri due annuirono, scambiandosi reciproci dubbi con lo sguardo. I palazzi bianchi andavano pian piano facendosi radi ai lati della strada, lasciando posto a strutture più basse, e più scure di colore, dalle forme irregolari e senza arte.

Ad un certo punto attraversarono un ponte di ferro, che si distendeva sopra un vasto fiume.

Le sue acque erano torbide e scure, e sembravano quasi ferme. La scena ricordava una vecchia fotografia di fine ottocento, con i suoi toni spenti e vagamente malinconici.
Superato il ponte la strada si incamminava in salita, mentre gli edifici ai lati erano stati sostituiti da alberi neri, senza foglie, privi di ogni alito di vita.

M: Questo posto inizia a darmi i brividi, non ho mai visto degli alberi simili.
V: Sembrano morti, chissà cosa è accaduto.
O: Non sentite questo odore acre? Mi sta infastidendo le narici.
M: E' zolfo, senza dubbio questo è odore di zolfo. Gli alberi non sono naturalmente neri, ma sono bruciati, deve essere accaduto qualcosa che li ha bruciati tutti.
V: Guardate là, verso la cima della salita. Mi è sembrato di vedere qualcosa muoversi.

V. iniziò a correre sulla salita e gli altri due si affrettarono a seguirlo.

O: V., hai trovato qualcosa?
V: Avrei giurato di vedere un’ombra muoversi, ma non c’è nulla.
M: La stanchezza ti avrà giocato uno scherzo. Come pretendi di distinguere un’ombra in questo paesaggio scuro?
V: Forse hai ragione, è arduo distinguere qualcosa tra i suoi simili.
O: Già, ma è proprio questo che distingue l’arte dalla volgarità. Chiunque può notare le differenze tra il sole e la luna, ma solo l’artista può andare oltre l’apparente contrasto e coglierne l’intima consustanzialità.

L’altro lato della collina presentava ai loro occhi lo stesso arido scenario che li aveva accompagnati nell’ultima ora. La strada ora scendeva con una pendenza regolare e non molto ripida. Ad un certo punto compiva un’ampia svolta verso sinistra e scompariva tra gli alberi neri. Il vento era quasi del tutto scomparso. L’ambiente circostante si era tinto di un’irreale immobilità, e fortunatamente non stavano camminando di notte.

O: E questo cosa sarebbe?
M: Dove?
O: Qui dietro la curva c’è una radura tra gli alberi, venite a vedere.

Centinaia, migliaia di ossa erano ammucchiate una sopra all’altra, disordinatamente formavano una piccola collinetta bianca. La scena era resa ancor più tetra dal contrasto di colore tra le ossa e il nero degli alberi.

O: Chissà cosa è accaduto? Chi le avrà portate qui, tutte insieme? Sembrano animali…
V: E se non fossero animali? Avremmo trovato gli abitanti della città, in questo caso.
M: Lasciamo con rispetto questo luogo e dirigiamoci oltre.

Dopo una curva verso destra la strada iniziava a farsi diritta, e la pendenza in salita aumentava.

Ad un certo punto una grande pietra miliare, posta a sinistra, sanciva un drastico cambiamento nello scenario. Gli alberi neri, disordinatamente posti ai lati della strada, lasciavano il passo infatti a degli splendidi alberi in fiore, con delle foglie color bronzo e dei fiori rossi. Gli alberi fiancheggiavano armonicamente la strada, ai cui lati apparivano dei campi color oro.

M: Bene, finalmente qualcosa di gradevole per gli occhi.
V: Sono splendidi, anche i fiori rossi.
O: Si, davvero. Guardate che meraviglia quei campi di grano.
M: Andiamo a osservare la pietra, non possiamo dimenticarla.

La pietra miliare era di color ardesia, geometricamente regolare, con una forma di parallelepipedo. Perfettamente liscia, senza alcuna variazione di forma, fatta eccezione per una targa di metallo posta in basso a destra, con inciso il numero 137.

O: 1 +3+7, il numero della comprensione.
M: Cosa dobbiamo comprendere oggi?
O: La comprensione, è madre e figlia di se stessa, forse più che cosa dovremmo comprendere mi spaventa come farlo.
V: Osservate, sul retro è inciso anche in numeri romani: CXXXVII

Continuarono per alcune ore a camminare lungo la via alberata.

M: Sento il mio stomaco protestare, mi è venuta fame. Devo mangiare qualcosa.
O: Certo, solamente non vedo cosa tu possa mangiare. Vedo solamente alberi ed erba qui intorno.
M: Devo mangiare e mangerò, fidatevi di me.
V: Nutriti di polvere allora, polvere sei e polvere ritornerai no?
M: Preferisco l’erba al limite, di sicuro contiene più nutrienti della polvere.
V: Questo perché siamo abituati a pensare che solo ciò che ci appare vivo sia in realtà vivo, il nostro cervello necessita principalmente di sali minerali ed acqua. Non sembrano vivi nemmeno loro no?
O: L’acqua è vita in effetti, così diciamo tutti. Ma non appare viva nel senso comune, forse perché il principio di vita consiste in qualcosa di invisibile ma che necessità del visibile per manifestarsi ai nostri occhi.

Una voce alle loro spalle richiamò gentilmente la loro attenzione ed interruppe il loro dialogo. “M. voltati e vieni a prendere ciò che cerchi.”

I tre si girarono all’unisono e videro il volto di una bambina che li osservava sorridendo.

Avrà avuto dodici anni al massimo, portava dei capelli lunghi e rossi, raccolti in due trecce molto curate. In mano recava un paniere di un materiale che sembrava coccio o ceramica, di color nero.

La bambina trasse dal paniere tre dolci dalla forma tonda e li diede a M. “M. prendi e mangia questi dolci, essi sono fatti con la prima spiga, ti sazieranno tutte le voglie”.
M. si avvicinò e ringraziò con un cenno del capo, senza dir nulla.

Il sapore dei dolci era delicato, diverso dai dolci a cui M. era abituato. Si soffermò a cercare di carpirne gli ingredienti.

V: Sembra che ti piacciano. Potrei provarne il sapore?
M: No, non puoi.
V: Per quale motivo?
M: Perché non ne hai chiesto, perché pensi quindi di meritarne il sapore?
O: Non credo che occorra delegare alla tolleranza dunque, chiediamone altri, così nessuno ne avrà da soffrire per perdita o mancanza.

Cercarono con lo sguardo gli scintillanti occhi color mercurio della bambina, ma ella non era più tra di loro. Guardarono ai lati della strada, dietro gli alberi e verso la città. Allora chiamarono a voce alta, più volte, ma la bambina non tornò.

O: Affrettiamoci dunque, non vorrei che la notte ci sorprendesse lungo la via.
M: Giusto, rimettiamoci in viaggio.

Si rimisero in cammino, la via appariva ancora lunga, anche se in lontananza iniziava ad apparire qualcosa. Le ombre della sera allungavano le forme degli alberi alle loro spalle, ed il disco del sole si abbassava all’orizzonte, rivelando dei chiarori metallici verso occidente.

V: La via è curata e condurrà il nostro cammino a delle risposte, il dubbio mi assale sin dall’inizio.
M: Ci sono dei riflessi di luce più avanti, portiamo i nostri dubbi verso la Luce. O., cosa combini in disparte?
O: Stavo riflettendo sull’ambiente che ci circonda e sulle variazioni delle forme che stiamo sperimentando. Posso dire con relativa certezza che conosco il senso di solitudine che accompagna il viaggiatore, questa percezione va oltre la mia memoria, è come se facesse parte dell’intimità più nascosta del mio essere. Ripercorrevo così stralci di passato, di un passato che a volte sembra alieno, non distinguo tra sogno e ricordo.
Assorto, vi osservavo ed ascoltavo discutere sulla Luce e sul Dubbio, c’è risonanza in tutto questo e ringrazio di poter contare su di voi e sul conforto di cui molti non possono godere.

V: Osservate ad Occidente, il fuoco si è trasformato in tiepido calore e il sole si prepara al suo sonno.

Il passo si faceva lento all’unisono con la calma circostante, che stava quasi diventando stasi. Anche il respiro rallentava e si quietavano i pensieri ed i dubbi. Un vento leggero e fresco iniziò a rinfrescare le loro spalle, sostenendo dolcemente il cammino.

Passarono due ore circa, due ore in silenzio, un silenzio fatto di pensiero e pienezza. Nessuno espresse i timori sull’oscurità che si stava palesando. Era evidente che la meta era ancora lontana, e la guida del sole dissolta oltre l’orizzonte, cedeva il passo alla tenebra.

V. si fermò ad un tratto e si voltò verso oriente. Gli altri due si avvicinarono.

V: Da qualche minuto un chiarore leggero fa tremare l’ombra.

In silenzio osservarono l’ascesa della bianca luna, era piena, e ad ogni minuto che passava il loro sangue si rallegrava dell’anima di Iside che li vivificava, portando nuova essenza.

M: Come dei pastori erranti nel deserto, non vi sembra?
V: Il bello del deserto è che per coglierne la pienezza occorre vivere con pienezza ogni istante, altrimenti il vento e la sabbia cancellano ogni cosa.

O. sorrise ed alzo verso il disco argentato le proprie mani, a formare un triangolo rovesciato.

O: Si, come dei pastori senza gregge, abbiamo forse perduto la via e i nostri beni? In hoc signo vinces..
M: Col sangue dell’agnello tingerai la tua porta e col fuoco vincerai, non con l’acqua. Ma noi amiamo spesso rovesciare e disgregare le cose, per poi ricomporle.
O: Acqua infuocata, sangue, Uriel... E poi in questo istante è la Luna a vincere la tenebra. Dov’è l’agnello?
V: Combatte nel silenzio della notte, muore per rinascere.
O: Su andiamo, sono impaziente di sapere. Muoviamoci, il tempo corre nuovamente.

Ritrovarono la parola e la via. Geometricamente perfetta, adesso la strada diritta si inclinava verso una collina scintillante di riflessi argentati. Edifici metallici interrompevano il continuum circostante, attirando ogni forma verso il centro dell’agglomerato. Gli alberi erano scomparsi insieme al sole, una finissima sabbia tinta d’argento anch’essa dalla luce lunare, si lasciava accarezzare dal vento sottile dell’est.

Giunsero su un’ampia area, la forma ricordava un anfiteatro romano, colonne bianche circondavano una scalinata semicircolare che si interrava all’interno della collina. Iniziarono a scendere verso il centro, dall’alto la luna si specchiava in una fontana posta al centro della struttura.

M: E' in pietra bianca, sembra molto diversa dal resto degli edifici. Fortunatamente la luna ce l’ha rivelata, altrimenti non l’avremmo vista. Guardate la sua forma esagonale.
O: Vite intere sono state dedicate alla ricerca della pietra che vive all’interno del metallo.
V: E il metallo sorge all’interno della collina, al centro della terra nera.
M: E la collina è al centro del deserto, un poliedrico e infinito gioco di scatole cinesi.
O: Tutto ciò che affermiamo è vero, pur tuttavia non soddisfa la nostra ricerca. Chi si ferma è destinato all’oblio, chi si lascia trascinare dal gioco delle forme è anch’esso destinato alla dissoluzione. Possiamo dunque sottrarci a questo gioco infinito di dubbi e verità relative?
V: Possiamo abbeverarci alla fontana per ora, questo è certo, andiamo. Non avete sete? Questo lungo camminare mi ha provato.

Iniziarono a scendere i grandi gradini di pietra, con attenzione, per evitare di cadere. V. lottò contro l’impazienza e la sete, ma riuscì a non cedere alla tentazione di correre.
Scesi fin al centro della struttura, notarono quattro piccole colonne poste ai lati del basamento quadrato posto alla base della fontana. O. si soffermò ad osservare le statue che sormontavano le colonne.

V: L’acqua è freschissima, che sensazione di sollievo e rigenerazione.
M: Davvero, posso dire che tanto cammino valeva questa ricompensa.
O: Queste statue sono bellissime, vi raggiungerò tra un attimo.
V: Il riflesso della luna nell’acqua la rende ancora più bella, a volte ciò che osserviamo indirettamente risulta migliore dell’esperienza viva.
M: Non capisco, l’acqua è cristallina e riflette il cielo. Ma non vedo alcun riflesso del mio volto, delle mie mani.
V: Singolare fenomeno, quale stranezza fisica è contenuta in essa?

Le piccole statue ai lati della fontana erano fatte anch’esse di pietra, ma di una pietra lucida diversa dal resto, una pietra quasi metallica nei riflessi e tendente al nero. Singolari nelle forme, presentavano figure molto dettagliate. Un’aquila reale con le ali aperte teneva tra le zampe una spada a doppia lama, un serpente era attorcigliato con le sue spire ad un tridente piantato in terra, una piccola stella esagonale sormontava una piramide a base triangolare, mentre un leone alato ruggiva maestoso verso il cielo stellato. Un bagliore pallido attirò l’attenzione.

O: Oltre il leone, osservate oltre il leone, su verso la sommità della gradinata, tra le colonne.

Gli altri due si sollevarono svogliatamente dalla fontana e si misero a scrutare verso l’alto.

M: Dove?
V: Lassù, guarda. – Ed indicò con l’indice della mano sinistra.

Si incamminarono lentamente verso l’alto, attirati da quella forma luminosa. Non mostrava segni di movimento e a prima vista sembrava una specie di faro. La luce non era abbagliante ma appariva come una lampada azzurra immersa in una qualche specie di nebbia. Man mano che si avvinavano al colonnato, la forma si definiva sempre più, finché lo stupore si sostituì alla curiosità.

Avvolta in un manto candido e luminoso, una figura li osservava, immobile. Era esile nelle forme, evanescente. Non riuscivano a coglierne i tratti del viso, offuscati dal chiarore del mantello.

Quando furono più o meno a tre metri di distanza, alzò la mano sinistra e li invitò a seguirla.
Si muoveva leggera e sicura nell’oscurità come un gatto, doveva forse essere femmina dalla grazia che esprimeva.

V: Chi sarà?
M: Non ne ho idea, ma forse avrà delle risposte per tutto questo.
O: O ci condurrà alle risposte, spero. Tutto questo mi sembra una specie di follia cosciente.

La parte alta della collina si presentava di architettura molto semplice. Vi era infatti una grande struttura in pietra a forma cupola che scintillava di luce azzurra, e circondata da un laghetto artificiale. Quattro ponti anch’essi di pietra si alzavano sulle acque per unire la cupola alla terrazza che racchiudeva il lago. Con passo lento ma regolare i quattro si preparavano a superare il ponte meridionale.

O: La risposta ci attende oltre l’acqua.
M: L'acqua ci separa dalla pietra.
O: La pietra è figlia dell’acqua celeste.

Appena varcato il bordo del ponte, la loro guida si fermo ed indicò con la mano verso la cupola.
Avvolti dalla luce azzurrina, con una sensazione di elettricità statica sopra la pelle, i tre entrarono nella grande struttura.
L'interno era completamente in ombra, esclusa la sfera luminosa che campeggiava al centro, ad una trentina di metri di distanza da essi.

V: Guardate, guardate a terra!
O: Si, stavo osservando, sono centinaia.

Un numero imprecisato di figure esili, dalle forme femminili, copriva quasi completamente il pavimento. Erano distese tutte con i piedi rivolti verso il centro della sfera, incappucciate, con le braccia incrociate sul petto secondo le usanze antiche.

La sfera al centro della cupola misurava circa 3 metri di diametro e scintillava di luce dinamica, sfumature che andavano dall'indaco, al violetto, con pulsazioni di color rosso scarlatto. L'effetto nell'ombra della grande struttura, era abbagliante.

Al centro della sfera una figura femminile, a volto scoperto, si agitava in movimenti a spirale e salmodiava in una lingua che non riconobbero.

Quando si avvicinò loro, ne videro i dettagli. Era bellissima, lunghi capelli corvini, forme leggere come le altre, vestita in una tunica scarlatta, con una spada nella mano sinistra ed uno specchio nella mano destra.

Fece un cenno autoritario ai tre, invitandoli a sdraiarsi in uno spazio vuoto ed assumere la posizione degli altri corpi. Essi obbedirono, quasi in stato di trance ipnotica. Si sdraiarono e chiusero gli occhi, tutto svanì.

Quando riaprirono gli occhi, intorno a loro si era fatto il vuoto. Non c'erano più le figure sdraiate e la donna scarlatta puntava con sorriso malinconico la lama verso di loro. Con la mano destra indicò loro di avvicinarsi al centro. Essi obbedirono.

Quando i tre furono in presenza della donna, ella indicò in sequenza la sfera luminosa e, successivamente, una zona all'interno di un piedistallo esagonale, dove erano posti tre sarcofaghi di pietra nera.

V. si incamminò verso la sfera al centro, con passi lenti e sicuri. Lo stesso fece M., ma indirizzandosi verso il piedistallo esagonale.

Mentre i due camminavano, come spinti da una forza interna, ella iniziò a muoversi mimando una figura ad otto, con spirali sempre più ampie e dalle sue labbra un canto sommesso iniziò a riempire il silenzio della cupola. La spada sembrava disegnare forme nell'aria, mentre lo specchio era rivolto verso il suo viso dai tratti perfetti.

"Zewial, Nasheb, Nasheb, Zewial..."

Il canto si ripeteva, lento regolare, senza interruzioni.
Rapito dalla bellezza dei movimenti della donna, O. rimase con lo sguardo fisso verso di lei, per tutta la durata della danza. Quando il canto terminò, anche i movimenti cessarono.

Fu allora che attratto da una percezione istantanea volse lo sguardo verso l'alto, verso la sommità della cupola e vide che era aperta. Un'apertura circolare lasciava trasparire un cielo stellato, fu allora che egli vide e prese coscienza.

Non riconobbe le costellazioni, non riconobbe il cielo. Una luna bianca campeggiava nel cielo alieno, ed accanto ad essa  era comparsa un'altra forma, uno spicchio di luna nera.

La donna lo fissava e puntava la lama al centro della sua fronte, mentre gli mostrava con leggerezza lo specchio.
Egli non riconobbe se stesso. Non riconobbe quegli occhi. E poi venne il buio.

 

Harakty

 
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