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Mircea Eliade - seconda parte -
(20/09/2009)

Documento senza titolo

- continua dal numero precedente -

In questo libro tre intellettuali assai diversi tra loro - uno un ortodosso con tendenza a demonizzare la religione induista, l'altro un protestante molto erudito ed il terzo identificabile con lo stesso Eliade - si incontrano a Serampore, nei pressi di Calcutta, e stringono un'amicizia cementata dai comuni interessi culturali e spirituali.

Una notte accade loro qualcosa di assolutamente straordinario.

Di ritorno da una gita in campagna essi assistono, addirittura interloquendo con i protagonisti, ad un fatto di sangue - fatto verificatosi in quello stesso luogo centocinquant'anni prima. Com'è possibile e qual'è la causa?

Al giovane io narrante del libro, che è lo stesso Eliade risponde senza scomporsi e con un leggero sorriso sulle labbra lo yogi Shivananda, che lo scrittore aveva avuto proprio come insegnante di yoga.

Swami Sivananda

Si è trattato di tantrismo - dice il guru - ossia dell'effetto di un'operazione magica che sospendendo questo spazio e questo tempo trasporta in un altro spazio ed in un altro tempo. L'avere partecipato direttamente ad un fatto accaduto nel passato - spiega il guru - può apparire inconcepibile solo a chi si attenga alla presunta necessità di un mondo che invece non è che uno degli infiniti possibili ed alla univocità di leggi che in realtà producono solo apparenze. Quanto accaduto insegna comunque che le forze negative possono essere volte in positivo, le padroneggia colui che le accoglie non per il bene od il male che possono arrecare, ma come principi dell'infinita ricreazione dei mondi”.

Quasi contemporanea a "Notti a Serampore"è "Il Segreto del dott. Honigberger".

Anche in questa novella Eliade descrive delle situazioni di uscita fuori dal tempo.

Come in “Notti a Serampore” il narratore che è in realtà lo stesso Eliade è un giovane orientalista, studioso della filosofia indiana, e come in quella novella gli esperimenti o le operazioni magiche compiute da alcuni dei personaggi provocano una dislocazione spazio tempo.

Dopo l'uscita di questa novella si fecero molte illazioni su un presunto contatto di Eliade con alcuni centri occulti di potere spirituale.

Il Prof. Ioan Culianu

Così scrive il suo discepolo Culianu al riguardo: “…in Romania esiste in alcune cerchie la ferma convinzione che Eliade fosse stato istruito in India su certi segreti magici....si ipotizzò che egli fosse stato contattato in India da una sorta di centrale di intelligenza tradizionale, da alcuni Spiriti che dominano il mondo dal loro nascondiglio. Circolavano anche due versioni del suo ritorno in Occidente......nella prima sarebbe stato mandato indietro come una specie di missionario....nella seconda egli avrebbe ricevuto questa missione dopo che si era dimostrato non degno di rimanere in India, dove naturalmente non si tratta dell' India storica, ma della mitica Shamballa......”.

Questa novella è comunque la prova della grande conoscenza che aveva Eliade di autori di occultismo, esoterismo e magia, perché i libri che il narratore scopre nella mitica biblioteca dello Zerlendi sono gli stessi che facevano parte della biblioteca personale di Eliade, e le fonti sono quasi certamente da rinvenirsi nelle opere di Nicholas Roerich, autore di “Shambala”, e  di Renè Guenon.

Ma anche alcuni personaggi della novella rivelano delle sorprese e ci confermano l'esotericità nascosta di Eliade.

Uno di loro, indicato con le iniziali J.E. infatti è un misterioso studioso in corrispondenza con il Dott. Honigberger su temi come l'iniziazione magica ed il modo per raggiungere la mitica Shamballa e parrebbe potersi identificare addirittura con Julius Evola e ciò per la singolare sorte che tocca a questo oscuro personaggio: la paralisi.

In ogni caso sembra che questo J.E. abbia tentato sotto l'influenza diretta di Honigberger una iniziazione di tipo yoga e che sia fallito in modo terribile, (riportando appunto la paralisi agli arti inferiori).

Ora, è noto a tutti i cultori del grande esoterista romano, la leggenda nera sulle cause occulte che provocarono l'incidente a seguito del quale Evola restò paralizzato, circostanze negate dallo stesso Evola che ha sempre ribadito al riguardo come la causa della sua infermità sia stata una scheggia durante un bombardamento su Vienna dove Evola si trovava che lese irrimediabilmente il midollo osseo spinale, condannando lo studioso alla sedia a rotelle per il resto della sua vita.

Molti anni più tardi un allievo di Eliade riferì - a conferma delle  convinzioni dello storico sull'incidente di Evola - una sua frase decisamente illuminante. “Non trovi significativo che sia stato ferito al terzo chakra? Come se quella scheggia - per comune opinione di molti esoteristi ed evidentemente dello stesso Eliade -  provenisse da un altro mondo”.

Quel che è sconcertante è che Eliade scrisse la novella nel 1940 mentre l'incidente di Evola si verificò cinque anni più tardi. Come avrebbe potuto Eliade avere la premonizione dell' l'infermità di Evola?

Forse Eliade aveva acquisito durante il suo soggiorno in India alcuni “siddhi”, cioè dei poteri magici come quello della preveggenza? 

Julius Evola

Qui il De Martino, saggiamente, sospende  il suo giudizio, perché trattandosi di due personaggi come Eliade ed Evola così immersi nel mondo del magico tutto sembra possibile.

* * * * * *

Per come ci appare da questa singolare biografia del De Martino, Eliade appare contemporaneamente come uno scienziato che si sforza di lavorare in senso storicistico, ed in senso lato come uno sciamano che ha cercato nella prima parte della sua vita di sperimentare direttamente la realtà oggettiva dei suoi interessi esoterici.

Egli aveva compreso che per capire le arti divinatorie era necessario praticarle, perciò per comprendere lo Yoga, che doveva costituire l'argomento della sua tesi per il dottorato, si recò in India arrivando a diventare uno Yogin, atteggiamento che non può certo dirsi sbagliato proprio dal punto di vista scientifico, così come un vero studioso di alchimia dovrebbe praticarla per definirsi veramente tale.

Questo atteggiamento iniziale dell'Eliade è certo degno di rilevanza, perché per nulla comune tra i suoi colleghi.

Come ebbe a rimarcare il grande Jung. “Gli scenziati non sono gente curiosa”.

Ed in effetti essi si limitano a riassumere tutto ciò che hanno imparato da giovani e tutto quello che non turba il loro schema mentale consolidato da anni di studio.

Purtroppo Eliade, per il suo evidente desiderio di essere accettato dal mondo accademico, non portò alle estreme conseguenze la sua ricerca e non riconobbe mai per tutta la vita in modo chiaro l'importanza che studiosi come Evola e Guenon avevano avuto su di lui, mantenendo verso questi un atteggiamento contraddittorio.

Da un lato li studiava e li ammirava dall'altro ne prendeva le distanze, sopratutto quando questi grandi esclusi attaccavano il mondo accademico ed il mondo moderno.

Renè Guenon

Una testimonianza illuminante in tal senso si ritrova in una lettera del 1947 indirizzata ad un amico di Eliade da un seguace di Guenon, Michel Valsan: “Eliade utilizza parecchio di Guenon senza citarlo mai.....una volta mi dichiarò che era d'accordo su ogni punto con Guenon ma che la sua posizione ed i suoi progetti universitari gli impedivano di riconoscerlo apertamente..... Eliade mi diceva che pensava di avvalersi della politica del cavallo di troia....una volta bene istallato nel mondo scientifico e dopo avere accumulato le prove scientifiche delle dottrine tradizionali avrebbe finalmente esposto alla luce del sole la verità tradizionale. E' timoroso o troppo prudente .........”.

In conclusione dalla lettura di questo saggio emerge un atteggiamento di Eliade nei confronti della Tradizione e dei loro rappresentanti più autorevoli francamente ambiguo e discutibile.

Se da una parte per anni lo studioso ammetteva la sua totale adesione al pensiero “guenoniano” od “evoliano” assicurando loro un futuro appoggio una volta introdotto nel mondo accademico, dall'altra finiva sempre per temere di esporsi in prima persona.

Alla fine la spiegazione alle sue reticenze sul tema, sopratutto dopo l'ingresso all'università americana di Chicago, fu sempre la stessa: per lui la Tradizione doveva essere intesa come una creazione dello spirito metastorica e non storica, e pertanto artificiosa.

Tale giustificazione in palese contraddizione con le entusiastiche prese di posizione degli anni precedenti nei confronti di Guenon ed Evola rappresenta certo un cambio radicale della  propria visione del mondo, che potrebbe anche comprendersi se non ci fosse il forte timore che essa sia solo un paravento per mettere sotto silenzio la sua passata ammirazione per il rappresentante più importante e significativo dell'esoterismo contemporaneo, come Eliade ebbe a definire Guenon in una sua lettura dal titolo L’occulto e il mondo moderno”.

Il De Martino conclude nel rilevare che comunque certamente Eliade fu spinto per tutta la sua vita verso tutto ciò che fosse metafisico, dalla filosofia perenne, alla tradizione ed all'occultismo, con un coinvolgimento così forte che lo induceva a sperimentare tutto di persona. Lo stesso Eliade in un suo appunto del 1942 confessa: Di fatto la tragedia della mia vita si può ridurre a questa formula: sono un pagano, un perfetto pagano classico che cerca di cristianizzarsi...per me i ritmi del cosmo, i simboli, i segni, la magia e l'erotismo esistono più del problema della redenzione”.

Eliade qui ammette di sentire la colpa in senso cristiano, di avere un sentire pagano, di credere più alla magia che al miracolo.

Egli si è sforzato per tutta la vita di divenire un cristiano come "forma mentis" ma gli è stato impossibile perché tutto il suo essere tendeva ad una forma di spiritualità che appartiene ad un'altra epoca, il paganesimo, per il quale tutto il mondo era un simbolo, per il quale la creazione e l'uomo erano parte di un gioco cosmico universale, dove il sesso era una visto come una forma di espressione dell'IO ed al contempo una grande forza magica della natura.

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“NA HANYATE' HANYAMANE SARIRE”, questa frase in sanscrito fa parte del 2° canto del Bhagavadgita e fu utilizzata da Maitrey Devi, la figlia di Dasgupta, amata da Eliade, come titolo per il proprio libro di memorie e significa “Ciò che non muore quando il corpo muore”.

Tutto ebbe inizio da lì, in una biblioteca in India quando le mani dei due giovani si toccarono per la prima volta.

Pare che Eliade abbia presagito la propria fine, cioè quello che per la filosofia indiana e non solo è un Nuovo inizio.

Mircea Eliade in una fotgrafia da giovane

Quando la biblioteca personale di Eliade all'Università di Chicago andò a fuoco anche la luce della vita dello studioso romeno cominciò a spegnersi.....egli ne ebbe il presentimento, come se si compisse il  proprio destino terreno.

Qualche anno prima di morire Eliade ebbe un sogno che sentì profetico ma che all'epoca non riuscì ad interpretare.

Uscito di casa per fotocopiare il manoscritto di uno studio su cui ha lavorato per parecchi mesi Eliade arriva in uno strano giardino, dove si trova un uomo elegante e numerosi animaletti intorno a lui.

Eliade arrotola per gioco il manoscritto per giocare con un piccolo ratto. Ma quello lo afferra con la bocca e non lo lascia più...è impossibile strapparglielo.....Eliade supplica l'uomo di uccidere il ratto ma questi gli risponde che non ha il diritto di farlo. In pochi minuti ad Eliade resta in mano solo un piccolo frammento del manoscritto.

Ha perso un testo importante, il lavoro di mesi e non ne ha nemmeno una copia. Poi Eliade si risveglia.

Molti studiosi hanno visto in questo sogno premonitore l'annuncio della distruzione della biblioteca personale che Eliade aveva riposto nel suo ufficio all'Università di Chicago e dunque l'annuncio della morte dello studioso.

Chi identifica la propria vita con la propria opera va in fumo con essa.

Forse il senso del sogno era questo, suggerisce il De Martino: “Tutto ciò che l'uomo crea, foss'anche un'opera maestosa, unica, non è destinato ad essere consegnato all'eternità perché tutto ciò che è dei mortali finisce in polvere, divorato dal tempo, il grande ratto”.

Per Eliade il rogo dei suoi libri fu un'apocalisse ma anche un requiem.

Il fuoco purificatore aveva tolto l'immortalità ai suoi libri.

Eliade era tornato all'inizio ed anche alla fine della sua vita terrena. La notte dell'incendio fece mestamente ritorno a casa e la moglie gli diede dei sonniferi per farlo addormentare.

Eliade entrò, si può dire nel “Tempo del Sogno”, a cominciare un nuovo ciclo, un'altra giovinezza.

 

NEFERHOTET

 

 

 

 

 

 
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