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Wiwaniag Wachipi
(21/06/2016)

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L’inverno era arrivato improvviso quell’anno, gelido e pungente e anche se il sole lanciava ancora qualche raggio nella valle prima di sparire dietro le montagne, il freddo era già intenso, per cui ci intrufolavamo nei teepee protetti dalle spessi pelli e dal calore del fuoco.

A quel tempo ero giovane desideroso di sapere.

Riconoscevo a me stesso l’indole che mi caratterizzava, particolare, diversa dagli altri ragazzi che pensavano ad altro e soprattutto alle ragazze.

Non che non ne fossi attratto naturalmente; ma questa mia smania di non accontentarmi delle cose così come venivano presentate, considerandole sempre emanazioni di Wakan Tanka senza mai riuscire a conoscerlo, mi procurava una sorta di continua insoddisfazione interiore; per me era estremamente più importante placare questo ardore e trovare un equilibrio intimo piuttosto che stimolarne altri che senza una pace mia sarebbero stati altrettanto motivo di malcontento.

C'era una tenda nel nostro accampamento distaccata di qualche decina di metri da tutte le altre; dicevano vi vivesse un vecchio saggio, tanto vecchio che non ricordava nemmeno il suo nome, tutti lo chiamavano così infatti: “vecchio”.

Però il villaggio intero sapeva che conosceva molte cose, e i capi tribù e gli uomini medicina andavano da lui a chiedere consiglio.

Tuttavia negli ultimi anni, non usciva quasi più dal suo teepee e si era isolato sempre di più; le donne gli portavano da mangiare e i più giovani gli procuravano la legna per l’inverno, ma nessuno entrava mai nella sua tenda.

Ormai anche capi e stregoni non lo consultavano più, forse perché erano stati già istruiti e toccava a loro farlo alle nuove generazioni.

Tramandare quanto ricevuto in consigli e saggezza per il bene del popolo.

Con il tempo tutto questo aveva sollevato un velo di mistero nei confronti del “vecchio” che aveva sapore di magico ma anche incoraggiava un atteggiamento guardingo verso di lui.

Molti non lo avevano mai visto e non solo fra i più giovani e altri ancora  giravano a largo dal suo teepee impauriti da stupide superstizioni.

Io perlomeno le ritenevo tali perché invece sempre animato dallo spirito di conoscere l’origine delle cose, e visto che lui era stato il primo a guidare con le sue parole i capi e gli uomini medicina e gli sciamani che si erano succeduti al villaggio; avevo un gran voglia di conoscerlo.

I miei amici continuavano a dissuadermi dal farlo e a dire il vero anche i miei genitori non mi incoraggiavano.

Per alcuni anni avevo resistito ma adesso ne avevo sedici e non ce la facevo più.

La tenda era sempre piazzata lì più o meno nello stesso posto, anche quando il campo si spostava; il vecchio che già presagiva si ritirava, si allontanava dal villaggio che smobilitava, poi senza che qualcuno lo vedesse ricompariva nel suo teepee rimontato in un luogo che era stato scelto per passare l’inverno o l’estate.

Tutti sapevano che si era rifatto vivo quando fumando la sua pipa emetteva fili di fumo che uscivano dall’apertura in alto, quello era il segnale, così poteva ricevere dalla donne e dai ragazzi ciò che gli serviva per sostentarsi.

Da parecchi giorni stavo pensando che era arrivato il momento di agire e tentare il tutto e per tutto per riuscire a coronare il mio sogno; dovevo solo aspettare il momento opportuno.

Per quanto fosse freddo dopo aver consumato il pasto serale mi gettavo addosso la pelle di bisonte che mia nonna aveva conciato e confezionato per me come regalo per i quattordici anni, e uscivo ad osservare il cielo quando era sgombro di nuvole.

Rimanevo a contemplare la volta stellata con una certa malinconia.

Dal cielo passavo poi a gettare un’occhiata alla tenda del vecchio per poi tornare con lo sguardo al cielo,e così per varie volte ispirato dall’idea che ci fosse un collegamento fra i due; era solo un’idea e non sapevo perché mi si creasse nel cervello, ma accadeva istintivamente e non potevo farci nulla.

Le stelle erano in alto il teepee era più vicino ma come accadeva per il cielo anche quello era ammantato da un silenzio profondo e sidereo.

Quindi rientravo con un desiderio che rimaneva tale e la mestizia che non si era dissipata.

Quella sera compii lo stesso rito, quando uscii volsi subito lo sguardo in alto al blu profondo nitidissimo puntinato da centinaia e centinaia di luci argentee.

Ritornai verso terra calando lentamente gli occhi per centellinare il percorso che facevo fino a rivedere la linea del bosco; pochi metri da quello c’era la dimora del saggio.

Del fumo usciva dal foro superiore della tenda e il profumo di legna bruciata arrivava al mio naso, c’era silenzio come sempre ma questa volta il fuoco era acceso; vuol dire che non sta dormendo, è un’occasione da non perdere, pensai.

Raccolsi tutto il coraggio che potei e corsi in quella direzione lasciando impronte sulla neve di mocassini poco adatti a quel clima.

Arrivai davanti al teepee con il fiato grosso, c’era silenzio ma il fumo usciva, perciò il vecchio era sveglio, azzardai a chiamare ma non sapendo il nome proferii solo: “ Vecchio, vecchio”.

Non ci fu risposta, ma il fumo usciva sempre e adesso così vicino potevo sentire lo scoppiettio della legna che bruciava.

Alzai lentamente il lembo di pelle che faceva da chiusura ed infilai la testa dentro, vidi il vecchio che stava di spalle e sopra la sua testa un filo di fumo che si levava verso l’alto: “ Vuoi muoverti o hai deciso di farmi prendere una polmonite”.

Biascicò senza togliere la pipa dalla bocca che avevo intuito stesse fumando.

Non me lo feci ripetere due volte e di scatto entrai richiudendo immediatamente.

Rimasi fermo per doveroso rispetto, ma le gambe mi tremavano: “ Cos’è vuoi rimanere impalato tutta la notte?” Sentenziò di nuovo.

Mi avvicinai e tremavo di più, le sue spalle erano a poco più di due metri: “Allora ti decidi?”

Avanzai ancora apprestandomi ad aggirare la sua figura fino a che non fui davanti; sedeva con la testa leggermente inclinata verso terra, ma dava più l’idea che stesse osservando la brace che a poco a poco si formava e che di tanto in tanto emanava qualche scintilla come a destarsi da una quiete dopo che la fiamma si era placata.

Io ero in piedi e comunque potevo vedere solo la sua lunga capigliatura bianca come la neve che copriva in quel periodo tutto il paesaggio che gli cadeva di lato: “Siediti”

Lo feci ma il tremolio ancora non si placava; lui iniziò a sollevare la testa così lentamente che quegli attimi parvero ore.

Voleva impressionarmi e farmi battere il cuore ancor di più prima di svelarsi totalmente?

Beh ci stava riuscendo tanto che fra gambe e cuore che battevano mi sembrava di non toccare terra con il sedere.

Finalmente il suo sguardo incontrò il mio; avevo di fronte a me “ Il vecchio”.

Istantaneamente tutta la mia apprensione e il tremolio di gambe e ginocchia nonché i battiti del cuore si placarono; i primi cessarono i secondi ripresero la loro regolarità.

Il suoi viso sembrava scolpito nel legno, con ogni lineamento prepotentemente messo in rilievo; zigomi pronunciati, naso importante leggermente adunco mento deciso, e una fronte alta e spaziosa, forse a dimostrazione di tutta la saggezza che nascondeva al suo interno, pensai.

Infine la cascata di capelli che scendevano lungo le spalle, bianchi con qualche riflesso argenteo.

L’unico elemento che invece si sottraeva a questa severa fisionomia era la bocca con labbra sottili e lunghe che chiuse apparivano così uniformi  da sembrare impossibili potessero aprirsi.

Nel complesso però l’immagine ne risultava misteriosa e magica, rassicurante e inquietante allo stesso tempo; quasi volesse incitarti a penetrare i grandi insegnamenti che poteva rivelarti, e a volte invece a ben guardarti dal farlo: “ Che sei venuto a fare, cosa vuoi, cosa cerchi?”

Con queste tre lapidarie domande mi rimise immediatamente in soggezione e ricominciai a tremare.

Taceva ed era ovvio che stesse aspettando la risposta, ma in quella condizione di pathos non ero in grado di formulare una parola tanto meno sensata; dovevo ritrovare la calma, per forza, così istintivamente chiusi gli occhi e respirai tre quattro volte profondamente cercando di mandare con il pensiero un messaggio a tutto il corpo: “ Rilassati non è la fine del mondo”.

Quando li riaprii intercettai un sorrisetto sornione sulle sue labbra che si sbrigò a ritirare scoperto dalla mia improvvisa riapertura degli occhi: Vorrei sapere di più sui nostri riti… e vorrei conoscere Wakan Tanka.”

Balbettai quasi sotto voce facendomi capire però.

Lui abbassò di nuovo lo sguardo verso il focolare e tirò qualche boccata dalla pipa riempiendo poi di fumo lo spazio che ci divideva fino ad investire anche me che mi trovai con la testa avvolto da quella nuvola che profumava di tabacco Arikara.

“Quello che chiedi non è poco e perché credi che io possa darti delle risposte?"

“Si  tramanda che sei molto saggio”

“O molto vecchio,è così che mi chiamano ,anche tu lo hai fatto”

Arrossii e abbassai per un momento gli occhi per la vergogna: “ Allora continua”

“Dicono che conosci molte cose, anche molto vecchie addirittura antiche”

“Ahh dicono questo! E quanti anni pensi che abbia?”

“Beh nono saprei cento?” Azzardai.

“E credi che cento anni siano un numero sufficiente per conoscere cose antiche come dici tu?”

“Non saprei” balbettai nuovamente "Ma forse con la tua magia riesci a fare viaggi nel tempo”.

Si abbandonò ad una risatina  a labbra semiaperte come se gli arrivasse dal profondo più che emessa dalla bocca:” Magia tu dici! No no non faccio viaggi nel tempo, almeno come li possiamo intendere spostandoci da un posto ad un altro e magari con il corpo balzare di epoca in epoca… ma ho piuttosto permesso al tempo di viaggiare dentro di me”.

“E come hai fatto?” Chiesi di rimando senza neanche pensare a cosa stavo chiedendo tanto impulsivamente era uscita fuori la mia curiosità.

“Risvegliando la memoria a poco a poco, piano senza fretta.”

“Ma come si fa?” Incalzai nuovamente eccitato.

“Non come stai facendo tu in questo momento che hai la smania addosso di saperlo, e che perciò non ti mette in uno stato tranquillo, in una posizione di ricezione e concentrazione”.

Mi aveva bacchettato bene, bene e rientrai subito nei ranghi mortificato….

“Tuttavia sei molto giovane e se non si ha l’argento vivo alla tua età!! Poi sei stato coraggioso”

Quando mi disse così mi ripresi subito come se una molla mi avesse fatto scattare; forse avevo ancora una speranza visto che solo un minuto prima mi era andata a finire sotto la suola dei mocassini.

“Si sei stato coraggioso perché hai osato quello che nessun’altro riusciva più a fare da parecchio tempo: Hai varcato la soglia del mio teepee, e il coraggio merita di essere premiato.”

Rimboccò il fornello della pipa con una mistura di erbe e tabacco che con il suo profumo inondò tutta la tenda; io mi sentii un po’ stordito nell’inalare quell’aria anche se procurava in me un senso di abbandono, di dolce fluire cui la mente si adeguava rimanendo però cosciente.

“Dobbiamo andare per gradi comunque”

Mi ripresi di scatto da quel torpore udendo nuovamente le parole del vecchio o dovrei dire del saggio.

“Non si può conoscere WakanTanka senza prima sperimentare e sondare ciò che ci trasmette, suggerendoci delle cose da fare e come comportarci per realizzarle al meglio".

“Ti riferisci ai nostri riti vero?”

“Certo sono l’espressione visibile di un volere invisibile, spirituale.”

“Quindi Wakan Tanka ci comanda è il nostro capo supremo?”

“Beh, non lo vedrei così, no non ci comanda ci stimola ci incoraggia; Wakan Tanka non ha bisogno e non vuole sudditi, ma vuole elevare ed impreziosire la vita dei suoi figli affinché comprendano.”

“Comprendano cosa?”

“Tu già vuoi la risposta finale e questo per ora non è possibile, prima dovremo camminare un po’”.

“Dovremo, hai parlato al plurale, vuol dire che allora mi aiuterai a conoscere quello che voglio?”

“Ti darò una mano. Partiamo da quelle che sono le nostre tradizioni, i nostri riti appunto; quale ti piace di più o ti suscita più emozioni?” 

“WIWANIAG-WACHIPI, la danza guardando il sole” Risposi immediatamente

“In effetti è molto bello e complesso, forse il più articolato; bene ora dovrai fare silenzio e ascoltare senza mai interrompermi, se ti verranno in mente delle domande conservale così incomincerai ad allenarti a gestire la memoria”.

Cercai di trovare una posizione più comoda possibile, il saggio mi passò anche la pelle di bisonte che avevo con me e mi consigliò di metterla addosso perché avrei sentito freddo ad un certo punto.

Seguii il suggerimento poi feci silenzio pronto a ricevere ogni cosa fosse uscita da quelle labbra; della, mia smania miracolosamente non c’era più traccia, solo una moderata effervescente attesa.

“Molto di quello che ti dirò cela un significato e per questo ti aiuterò a sviluppare l'intuizione.

La danza guardando il sole fu celebrata la prima volta dopo molto tempo aver ricevuto la sacra pipa da Donna Bisonte Bianco. Questo perché prima di poter innalzare lo sguardo verso una luce accecante bisogna prima abituare la vista, che non è solo limitata ai nostri occhi, ma si espande a tutto l'essere.

Dovevamo perciò imparare bene quali erano le energie che si muovevano nel nostro corpo e da cosa fossero rappresentate nel contesto della natura che ci  circondava.

La Donna Bisonte Bianco sarebbe stata la messaggera  che ci avrebbe messo in comunione con lo spirito; il bianco poi era sinonimo di purezza cui si doveva giungere per poi proseguire sulla via della conoscenza.

Il bisonte bianco è una creatura rara, ma non impossibile da trovare perché esiste, come può esistere un’anima pura, basta volerla creare.

Ci donò così la pipa che divenne sacra perché questa rappresentava la dualità che vive costantemente in noi ed ha un aspetto emissivo da una parte e ricettivo dall’altra e se si riesce a coordinare bene queste due forze, si possono compiere cose mirabili: come osservare il sole ad occhio nudo per esempio.

Così quell’oggetto doveva rappresentare queste due energie, con il fornello quella ricettiva e il cannello quella attiva e puoi capire il perché da come viene usata”.

Stavo per aprire bocca ma mi ripresi all’istante.

”C’è un particolare” riprese il saggio dopo una breve pausa.

”Avrai notato che la brace si ravviva nel fornello quando si aspira e poi si emette il fumo”.

Straordinario era proprio quello cui stavo pensando: al fumo.

”Il fumo sale verso l’alto e così facendo si avvicina al Grande Spirito, ma questo fumo non è altro che il risultato della giusta interazione fra fornello e cannello, fra passivo e attivo; però ricorda può avvenire solo e soltanto se fra i due si crea calore se si accende il fuoco che trasforma, la brace insomma che si forma nel fornello e che si attiva quando si aspira; cioè si attira a sè.

Non ti preoccupare se alcune cose ti risultano arcane, per il momento ascoltale, sii il fornello ed immetti in esso tutti i pensieri e le domande e le intuizioni che incominci ad avere e pigiale per farne una buona mistura.

Ma adesso veniamo alla Wiwaniag- Wachipi, la danza guardando il sole.

Fu Colui che si Estende ad introdurla nei nostri rituali perché diceva essere stata una visione che aveva ricevuto, e quando tutti lo videro ballare a petto nudo con un braccio alzato al cielo e l’altro rivolto verso terra lo pensarono matto.

Io però già sapevo che non era così anzi con le sue braccia in quella posizione aveva creato una linea continua tra le cose che stanno in alto e quelle del basso; Colui che si Estende si era posto in mezzo fra il ricevere e il restituire, fra l’attivo e il passivo un po’ come il fornello e il cannello della pipa; lui si era trasformato nella pipa in un certo senso.

Comunque il consiglio degli anziani, vide che era una cosa buona e dato che era stato detto loro che avrebbero adorato Wakan-Tanka in sette modi diversi adottarono questo come uno dei sette.

Devi essere acuto come un aquila ragazzo mio perciò rifletti e pensa a ciò che ti ho detto all’inizio sulle analogie; comunque per il momento ti guiderò e ti dico di vedere in questi sette modi anche sette forze o sette anelli principali che attraversano longitudinalmente il nostro corpo. Puoi considerarli anche come sette fuochi se ti fa più piacere.

Colui che si Estende chiamò questa danza appunto:” La danza del sole”.

Per suo volere però sempre ispirato dalla visione, disse che non si poteva officiare subito il rito non prima che fossero trascorsi quattro giorni e si fosse procurata tutta una serie di strumenti che per l’uso che se ne andava a fare sarebbero anch’essi divenuti sacri.

Diede disposizione di erigere un grande teepee il cui pavimento doveva essere cosparso di salvia.

Questi quattro giorni d’attesa rappresentavano simbolicamente anche i quattro punti cardinali e gli elementi di cui è composta ogni cosa nel creato.

Ma è importante vedere che durante il passare di questo periodo l’attesa non è mai passiva, anzi c’è una fervida attività che coinvolge tutta la gente del villaggio impegnata a procurare tutti i supporti necessari a che il rito si svolga secondo il volere del Grande Spirito, cioè in maniera più sacra possibile.

Ogni azione svolta assume un aspetto di collaborazione fra tutti e dato che ognuno partecipa coinvolgendo i quattro elementi di cui è composto è come se questi si amalgamassero fra loro venendo a costituire allegoricamente la stessa mistura che poniamo nel fornello della pipa.

La cosa più bella è che tutto si svolge alla luce del Sole per così dire, in piena libertà e gioia che in questo modo vengono emanate nelle quattro direzioni; come la salvia che viene sparsa sul pavimento del grande teepee che per i suoi fusti a quattro angoli le richiama.

La sola preparazione procura felicità per il corpo e per l’anima che in questo modo rappresentano già un’offerta a Wakan-Tanka.

La musica e il canto poi non possono mancare nei nostri riti, perciò vennero scelti coloro che erano in grado di cantare e suonare, a tutt’oggi ancora si fa.

La musica si dice sia la voce dell’anima perché è una delle maggiori espressioni delle nostre emozioni e dei nostri sentimenti; e se le emozioni devono venire fuori quale miglior strumento per accompagnarle del tamburo, che per la sua forma rappresenta l’universo e per il suo rullo regolare è il battito della vita che pulsa nell’universo.

E’ come per noi il cuore è il nostro tamburo che fa circolare il sangue, cioè è lo strumento che muove la emo-zione.

Potrai ben intuire quindi che esse sono riposte nel sangue che le trasporta, ma anche in tutti gli altri liquidi presenti nel nostro piccolo universo”.

Ero completamente incantato dalle parole così illuminanti e chiarificatrici del saggio, che cercavo perfino di respirare piano per non perderne una; non riuscivo a distrarmi dal suo viso neanche quando lo abbassava verso il fuoco per rinvigorirlo con nuova legna, o lo stuzzicava con un bastoncino per riattizzare la brace.

“E’ per tutti noi cosa ricorrente rivolgerci a Wakan-Tanka affinché il popolo possa acquisire sempre più saggezza e percorrere così il sacro sentiero insieme alle potenze dell’universo; il sentiero rosso lo chiamano, come rosso è il sangue che ci scorre nelle vene.

Vedi non c’è simbolo, oggetto o rituale che possa esistere che io non paragoni ad un organo o ad una funzione del nostro corpo, e sai perché?... Hai fatto una domanda all’inizio e questo ti aiuterà a trovare la risposta”.

Quello che mi stava dicendo il saggio aprì ancora di più il mio cuore, perché non sarei finito in un vicolo cieco con tutte le riflessioni che facevo e le domande che fino ad ora non avevano trovato risposta; adesso c’era una luce che si poteva intravedere in fondo al tunnel delle mie elucubrazioni cervellotiche.

Sentivo che quella notte sarebbe stata una grande notte.

Il saggio sembrò aver intuito che stavo assimilando questa rivelazione infatti tacque per un po’ lasciando che mi cullassi in questa speranza; ma soprattutto lasciò che questo breve ma euforico stato in cui mi sentivo avesse il tempo di essere assorbito da tutte le mie cellule.

Solo quando vide un rilassamento delle mia fronte sulla quale poco prima sicuramente si erano create delle leggere rughe, riprese a parlare.

“Tu sai che la pipa è l’oggetto più sacro che possediamo, ed essa è sempre presente in ogni circostanza, che sia rituale, o più sociale; essa è una matrice una spoletta che innesca processi di purificazione, per questo è sempre stata al centro del cerchio della nazione, così come l’albero che unisce terra e cielo.

Immaginiamo per un momento che noi rappresentiamo la nazione.

In fondo il suo significato si riferisce a nato e se tu sei nato quindi sei una nazione; dove pensi sia ubicato l’albero? E in cosa potresti riconoscere i due aspetti della pipa di cui ti ho già parlato?

Visto che questo è il mezzo per il quale il popolo può vivere e prolificare!!

Sappi che c’è un popolo numerosissimo composto da milioni di esseri che vive in noi…

Colui che si Estende era molto meticoloso nell’istruire come dovevano essere fatti tutti i supporti e gli amuleti che sarebbero occorsi per la danza e tanto più lui descriveva le loro caratteristiche quanto più vedevo in queste precisi riferimenti al sentiero sacro che il popolo doveva seguire; quel sentiero che è dentro di noi; quel sentiero che siamo noi.

Perciò la collana di pelle di lontra cui doveva essere attaccata una croce inscritta in un cerchio rappresentava l’attivazione che si doveva incominciare a fare delle nostre quattro potenze all’interno di un area ben definita.

La luna poi che doveva essere ritagliata in un pezzo di cuoio, oltre a rappresentare il ciclo vitale con il suo nascere, crescere e poi morire, è anche la luce nella notte, una luce particolare però che riverbera quella del sole: l’una sempre presente l’altra ciclica che insieme creano uno sposalizio nel quale una matrice veicola in se un’essenza eterna ed universale.

Ecco perché il sole che è fuoco è ancora una volta accompagnato dall’elemento acqua nel simbolo che lo riproduce con un disco rosso al cui centro è inscritto un altro disco ma di colore blu che evoca appunto tale elemento.

Ah!! Un’altra piccola cosa il rosso e il blu miscelati fra loro, creano il viola che per tradizione rappresenta la spiritualità.

Non dobbiamo mai però ragazzo mio, dimenticare la madre terra perché è grazie a lei che noi viviamo, e ricorda sempre che per raggiungere alte vette dovrai partire dalla base perché è essa che sorregge il tutto.

Tuttavia se tu saprai riconoscere la tua terra, perché come sai ogni cosa esterna è lo specchio di una interna, dicevo se saprai riconoscerla potrai lavorarci su e piano piano, la tua stella da tre punte passerà a cinque e poi a sette”.

Io stavo seguendo il consiglio del saggio di non preoccuparmi se non comprendevo tutto, e cercavo di essere soprattutto il fornello della pipa; certo però che molte cose mi risultavano arcane e così lontane dalla mia capacità d’intendere.

Nonostante questo il modo così semplice e naturale che lui aveva di trasmetterle, infondeva un’intima sicurezza che alimentava la speranza che un giorno prima o poi sarei riuscito a soddisfare la mia sete di conoscenza e a dare un senso lineare ed uniforme a tutto quanto avevo visto svolgersi nei nostri rituali, fini ad oggi…

“Il tuo intuito ti ha guidato bene scegliendo Wiwaniag-Wachipi (la danza guardando il Sole).

Hai posto la tua attenzione su un rito pregno di simbolismo.

La minuziosa preparazione di tutto ciò che occorre per officiarlo, ogni più piccolo particolare è una ispirazione per la mente, l’anima, lo spirito affinché insieme convergano a nutrire l’intuizione, che quando emerge dalla profondità delle nostre riflessioni, ogni volta che accade porta in superficie un pezzetto di memoria.

Proseguiamo quindi il nostro viaggio e ricordati di mantenere viva la brace nel fornello della pipa.

Un grande teepee viene eretto per questo sacro evento, ma prima che s’inizi la costruzione è necessario creare un punto centrale, un perno intorno al quale tutto ruoterà intorno.

A questo scopo viene scelto un albero che è un pioppo; come tutti gli alberi svetta verso il cielo e rappresenta la comunione fra esso e la terra; ma il pioppo in particolare, per la foggia delle sue foglie, ha ispirato la forma delle nostre tende.

Da questo albero che è posto al centro del grande teepee, si crea il teepee stesso; è come se da una unità si possa creare molteplicità.

Chi sa se per mezzo di quest’albero fossimo stati creati tutti noi!! Che ne dici potrebbe essere no?”

Ammiccò il saggio con un sorrisetto.

Io pendevo sempre dalle sue labbra e probabilmente dall’espressione dei miei occhi intuì ancora una volta…

“La brace del tuo fornello, la brace del tuo fornello, incomincia a fare qualche scintilla” e sorrise adesso mostrando il bianco insospettato dei denti.

Poi riprese: “Questo rito nella sua esecuzione è molto complesso ed implica uno sforzo fisico ai limiti della sopportazione; hai visto le cinghie di  cuoio con i rampini infissi nella carne dei danzatori che ballano fini a quando non vengono strappate via!

Puoi ben chiederti il perché di questa sofferenza e quale sia la sua motivazione, quindi è lecito pensare se Wakan-Tanka non sia crudele.

Ma se prima ti ho detto che lui non vuole sudditi figurati se accetta dei sacrifici cruenti”.

“E allora perché?”

Chiesi spontaneamente, accorgendomi solo un attimo dopo di aver interrotto il saggio; mi scusai ma lui non sembrò infastidito dalla mia domanda.

”In questo rito in particolar modo si offre il corpo affinché il popolo viva e prosperi e la sofferenza ha un duplice significato.

Il primo è quello di rimanere concentrati nonostante il dolore il che provoca uno sforzo immane della mente che si estranea dal corpo per raggiungere uno stato alterato di coscienza, che possa far travalicare i confini della materia.

Il secondo ha una valenza analoga al parto; non soffre forse la puerpera temporaneamente prima di dare alla luce il bambino?

Però subito dopo tutto finisce e c’è gioia.

Ecco ancora una volta ogni atto rituale trova riscontro nella vita umana per questo ribadisco di fare uso delle analogie, ti aiuterà moltissimo a capire.

Ti aiuterà a capire per esempio cosa può rappresentare la sacca di grasso che viene posta in cima al pioppo prima di essere innalzato al centro del teepee e che viene anche chiamato il grasso della terra che rende fertile e ci è donato dai nostri animali.

Anche noi lo siamo e dobbiamo proprio agire sulla nostra animalità, è da li che dobbiamo estrarre…Beh più in la lo capirai.

Piuttosto ti raccomando di tenere sempre accesa la tua pipa perché nel suo fornello sono contenuti i quattro elementi; le quattro potenze che noi immettiamo nella sacra pipa e alla quale si offre il sacrificio, sacro–ufficio dei danzatori.”

“O Progenitore Wakan-Tanka, guarda il sacro grasso e la sacra terra con i quali tocco il tronco di questo essere che sta dritto in piedi; noi ricordiamo che tutte le generazioni vengono per lui e per mezzo di lui.

Ehh! Ancora ricordo le parole a memoria, è un bel momento quando si officia questa parte del rituale; molto significativa. A te non sembra?.”

Apostrofò verso di me quasi con aria di sfida.

Sapeva che era difficile per me arrivarci e la considerai tale in un primo momento, ma subito dopo incontrando i suoi occhi che avevano assunto un’espressione speranzosa, capii che quella era rivolta a me.

Si a me che avevo avuto il coraggio di alzare il lembo di pelle e varcare la soglia della sua tenda.

Allora attizzai il “fornello della pipa” e paragonai quel mio atto allo stesso di sollevare il velo dell’ignoranza e della superstizione.

“Come ti dicevo una volta rizzato il palo sacro, intorno a lui si costruisce il grande teepee la cui struttura è costituita da altrettanti pali che sono in numero di ventotto.

Questo numero è molto importante per la Nazione perché è riferito prima di tutto al ciclo lunare di ventotto giorni e rappresenta il nostro mese, e ogni giorno a sua volta è riferito a qualcosa di sacro per noi: la madre terra, l’acqua, il fuoco, il sole etc.

Il ventotto evidenzia un ciclo che si compie entro il quale si svolgono eventi che nel loro moto circolare appunto ne originano di nuovi; in questo modo la vita si rigenera e si perpetua.

Osserva bene tale numero e prova a scomporlo, otterrai un due  e un otto sommandoli poi avrai dieci.

Anche questo numero è la sintesi di eventi precedenti la cui somma è uno più zero.

Riempi il fornello e gioca un po’ con quanto ti ho detto, facendo sempre attenzione a quello che ti circonda; è molto importante.

Ti voglio dare un piccolo aiuto, tanto per capire come fare le prossime volte: immagina quest’uno e questo zero come due figure geometriche, metti l’uno al centro dello zero e poi guarda la tua composizione dall’alto.

Non trovi una  somiglianza eccezionale con la struttura del nostro grande teepee?

E molto altro ancora naturalmente, ma questo dovrai scoprirlo da solo.”

Io stavo immaginando e costruendo mentalmente quanto il saggio diceva, applicavo l’immagine immediatamente alle parole così verificavo nella pratica quanto veniva espresso a voce.

Mi rendevo sempre più conto che senza l’esperienza personale anche i discorsi più belli rimanevano solo tali; ecco perché il saggio si raccomandava di usare la propria mente e le proprie aspirazioni, e non accontentarsi.

Era rimasto in silenzio e riusciva ad intuire ogni mia pausa di riflessione, sapeva quando farlo sicuro che la parole appena espresse l’avevano incoraggiata.

Quando capì che avevo di nuovo riempito il “fornello” riprese: “Andare al centro del teepee, vicino l’albero, danzando verso di esso, per poi ritirarsi, e nuovamente riavvicinarsi; è come andare al centro dell’universo.

Si abbandona la periferia, si abbandona la circolarità della ruota per raggiungerne il perno.

E’ un compito faticoso, perché l’ignoranza cerca sempre di trascinarci indietro, ecco cosa rappresentano i teschi di bisonte attaccati dietro la schiena di uno dei danzatori.

Vedi come si ripropone un’altra volta l’esigenza di un sacrificio, che si mostra con un atto di sofferenza!!

Ma non bisogna essere affrettati nel giudicare, magari con motivi di disapprovazione, perché come ben sai ogni nostro atto in un rito, è sacro e simbolico; per questo motivo la sofferenza di cui parlo va intesa come l’applicazione di una strenua volontà che deve    opporsi alla tendenza di lasciarsi soggiogare dagli eventi, e essere in loro balia.

Vale anche per il dolore, che i danzatori sopportano asportandosi lembi di pelle dai loro corpi per donarli al Grande Spirito, a Wakan-Tanka.

Devi vederlo come la rappresentazione esteriore di qualcosa che va fatta invece interiormente, come il sacrificio sull’altare della nostra parte più spessa, che ci distingue come animali a due zampe, e che va purificata fino a che non riuscirà ad incontrarsi con il cielo.”

Si accorse del mio sguardo perplesso, dopo quest’ennesima rivelazione che mi risultava piuttosto arcana.

Di quale altare parlava?

E perché aveva usato questa parola abbinandola ai pezzi di pelle dei danzatori?

Non riuscii ad andare oltre nei miei vaneggiamenti cercando di trovare un nesso, che il mio mentore parlò: “ Ti ho detto che ho permesso al tempo di viaggiare dentro di me,ricordi?”.

Sgranai gli occhi riportando subito alla mente quella rivelazione che avevo messo temporaneamente in letargo, data la massa di input ricevuta e che l’avevano totalmente ingombrata: “ Sull’altare antiche tradizioni bruciavano animali, per imbonirsi gli dei, noi lo facciamo con le erbe; l’altare era di pietra.”

“Ma come può la carne arrostita avere a che fare con il cielo e tanto ,meno raggiungerlo?”

Mi azzardai ad interrompere senza poter trattenere la curiosità.

“Vedo che stai imparando, bene cominci a fare dei collegamenti, a trovare accostamenti, mi fa piacere, e suppongo che tu voglia una risposta?”

Allargai la bocca in un ampio sorriso di assenso e la testa che trasmetteva un sii andando su e giù.

“Non te la darò esplicita perché così facendo rovinerei lo stimolo della tua ricerca, e della tua conseguente crescita; tuttavia posso venirti incontro dicendoti che non dovrai allontanarti molto da te per trovare e capire quali sono l’altare e quella carne da arrostire a fuoco lento ma costante.”

Stava giocando con me come il gatto con il topo e mi provocava degli scompensi nell’animo nei suoi confronti, che passavano da una riconoscenza infinita per ciò che mi stava dando, a un moto di intima ribellione quando non concedeva di più.

C’era stato di nuovo silenzio e compresi la furbizia, o la maestria da parte sua di farmi cuocere nel mio brodo.

D’altronde di cuocere se ne era parlato fino adesso.

“Il tuo intuito ti ha guidato bene, ripeté mettendo in risalto la parola intuito.

Wiwaniag–Wachipi (la danza del sole) è il rito che raccoglie in se la maggior quantità di particolari che racchiudono un valore sacro e simbolico.

Però voglio che tu osserva molto più attentamente quando assisterai alla prossima danza e soprattutto voglio che tu colga le sfumature che si celano dietro l’apparenza.

E’ necessario perciò che ancora per un po’ ti accompagni attraverso le molteplici operazioni che si svolgono nel rito.

La danza della prima notte per esempio, dopo le offerte fatte al bisonte, è una danza di ringraziamento alla creatura che ci tiene in vita grazie ai suoi doni e che ravvisiamo appunto in questo animale.

Ma è anche una danza propiziatrice che svolgendosi durante la notte è preludio e speranza verso la nascita del nuovo sole del giorno che sta arrivando; per questo i danzatori all’interno della capanna si fermano presso la sua entrata per salutare la luce novella, fonte di vita e calore.

Il bisonte è vita dunque, ma anche la luce: una luce che sorge dalle tenebre.

Lascio quindi a te fare di questa similitudine, un cerchio perfetto di continue trasformazioni, che dovrai creare nel tuo essere; così un giorno potrai cingere la tua testa con una ghirlanda, la stessa ghirlanda di salvia che mettiamo durante la danza e che rappresenta le cose del cielo, come le stelle e i pianeti che sono misteriose e molto Wakan (sacre).

Un cielo tutto da scoprire, un cielo celato.”

Il saggio fece una pausa, attizzò un po’ il fuoco e riempi nuovamente con molta cura e meticolosità il fornello della pipa.

I suoi atteggiamenti così moderati e calibrati, trasformavano in un rito anche quella semplice azione.

Pensai volesse prendere tempo per lasciare a me quello di riempire la mia  pipa immaginaria.

Tirò qualche boccata e il fumo salì dritto formando anelli che si avvicinavano alla mia testa, ci indugiavano sopra per un attimo e poi si dileguavano.

“Il rosso e il nero sono colori che sempre troverai presenti nei nostri riti e in particolar modo nel trucco dei danzatori della Wiwaniag–Wachipi.

Quando tu danzerai per te stesso, in una danza molto personale li incontrerai e le dovrai riconoscere e utilizzare; perché in questa danza sarai comunque legato a delle cinghie di cuoio immaginarie che ti sembreranno tante come quelle reali della danza del sole cui sono legati danzatori; mentre è una sola.

Dovrai insomma risalire dalla molteplicità alla unità; dovrai fare che questa molteplicità riesca a salire, nel vero senso della parola,verso l’unità, verso il cielo che la ghirlanda di salvia cinge.

Non sarà facile perché sarai più e più volte maltrattato e gettato a terra; Hai visto cosa succede ai danzatori che si sacrificano davanti al palo sacro!!

Ma devi resistere e avere la forza di rialzarti perché ricorda…”

Fece ancora una breve pausa, e quando riprese a parlare la sua voce era più mesta quasi sconsolata, e contrastava con l’energia incitante delle parole di poco prima.

“Ricorda che non saranno gli altri a farlo ma sarai tu stesso che avrai a che fare con la parte di te che come le cinghie di cuoio ti tiene legato alla mediocrità.

Se sarai forte e saprai attraversare le prove; che bada bene non sono mai per demolirti o scoraggiarti, ma esattamente l’ opposto; dicevo se sarai forte abbastanza, un vero eroe figlio della nostra Sacra terra, attirerai verso una consapevolezza diversa i quattro elementi di cui sei fatto.

Imparerai a lavoraci insieme e così facendo a mettere ordine in te.”

Grande responsabilità emergeva dalle parole del saggio ma occorreva farsene carico se volevo raggiungere ciò che volevo e mettermi alla prova iniziava a stuzzicarmi sempre più.

Quietai i pensieri per ascoltare di nuovo.

“Soffrire per offrire come fa il danzatore che si trova al centro dei quattro pali e al quale vengono applicate quattro cinghie di cuoio.”

La parola sofferenza non mi faceva più tanta paura, perché avevo intuito che non andava intesa nel senso più cruento del termine, anche se nella WiWaniag –Wachipi essa lo era; ma sapevo che quel dolore fisico doveva essere trasceso; aveva ragione il saggio, si doveva compiere un atto eroico.

Sollevai leggermente la testa verso l’alto, attirato da un’aerea nebbiolina, era il fumo della pipa che il saggio aveva ripreso a fumare, e che questa volta formava magicamente e non potrei definirlo altrimenti, formava delle stelle a tre, a cinque e anche a sette punte.

Anche queste ondeggiavano brevemente sul mio capo per poi svanire e perdersi nel teepee.

“Quando tutto sarà compiuto la santa donna, cioè la tua anima, offrirà al custode della pipa, che sei tu stesso, questo oggetto sacro.

Ora è ancora più wakan perché passato fra le mani di questa “meravigliosa donna” ti svelerà “ La stella del mattino” e l’alba che viene con lei; il sole della notte, e le stelle dei cieli; così avrai coscienza del buio e della luce.

Avrai coscienza e conoscenza delle tue energie, che avrai restituito alla terra e poi ripreso, fino a che le ceneri di questo scambio sparse nel “ deserto” non si saranno poi depositate e concentrate sull’altare, per l’estremo sacrificio.

Sarà la vita, sarà la luce, ma saranno anche le responsabilità che dovrai mantenere se vorrai essere “il capo del tuo popolo.”

Io stavo lacrimando, solo ora me ne rendevo conto, alla fine delle parole del saggio, mentre brividi continui attraversavano il mio corpo.

Non erano di freddo, li percepivo più come tante scariche elettriche che andavano a sollecitare ogni angolo, anche il più remoto della mia interiorità.

Mi sembrava di aver aperto ogni porta del mio essere a tante rivelazioni che vi erano entrate, come può farlo un raggio di luce in una tenda ancora chiusa e buia.

Molto spazio aveva lasciato il saggio alle mie sensazioni questa volta, e quando feci per incontrare il suo volto vidi che  stava riempiendo il fornello della pipa.

Vi stava mettendo erbe che non avevo mai visto prima: un pizzico di quella dal colore nero, un pizzico di quella rossa ed in fine un pizzico di quella del colore della neve.

Quando ebbe finito espresse un lieve sorriso di soddisfazione; accese ed iniziò a tirare, poi con mio stupore me la porse: “Ecco ora puoi fumare, aspira ciò che hai appreso e condividi.”

Fumai, lentamente e chiusi gli occhi per lasciarmi totalmente trasportare; volavo leggero come la nostra sacra “Aquila”.

Quando li riaprì il saggio si era addormentato; non osai svegliarlo, poggiai la pipa sulla pietra e piano uscii dal teepee.

Fuori c’era la neve ad aspettarmi, bianca come quella strana erba.

Lasciai le mie “impronte”  su di essa per tornare alla mia tenda; ma non erano le stesse di prima, come la mia tenda non era più quella a poche decine di metri.            

 

Massimo

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