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Il Linguaggio Segreto degli Alchimisti
(20/12/2009)

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Leggere per la prima volta un libro di alchimia e cercare di cogliervi un senso preciso è un'esperienza frustrante: enigmi, contraddizioni, allegorie, simboli, interruzioni e reticenze improvvise suscitano in chi legge l'impressione di essere vittima di una beffa straordinaria.

Né potrebbe essere altrimenti di fronte ad una ricetta che inizia così: "Per estrarre l'anima dell'asino in venti giorni: prendi un asino o un'asina, battili fortemente finche non venga più fuori alcuna feccia, poi prendi la metà di un sapiente milite armato e mescola nella pila...".

Oppure: "Prendi di qualcosa di ignoto la quantità che tu vorrai. ..".

Nella celebre Turba philosophorun alcuni brani sono scritti in questo stile irritante:" Voi parlate assai oscuramente e troppo. Ma io voglio indicare completamente la Materia, senza tanti discorsi oscuri. lo ve lo ordino, o Figli della Dottrina: congelate l'Argento vivo. Di più cose, fatene due, tre, e di tre una. Una con tre è quattro. 4, 3, 2, 1, da 4 a 3 vi è 1, da 3 a 4 vi è 1, dunque le 1, 3 e 4. Da 3 a 1 vi è 2, da 2 a 3 vi è l’1, da 3 a 2 vi è 1. 1, 2 e 3 e 1, 2 di 2 e1, 1. Da l a 2, 1, dunque 1. Vi ho detto tutto".

Gli alchimisti ci hanno lasciato molte migliaia di libri. È evidente che essi amavano scrivere e desideravano essere letti, ma preferivano non essere capiti. Questo perché l'alchimia è Arte Sacra, è il Segreto dei Segreti, e come tale va protetta dai curiosi, dagli indegni, dai non iniziati.

L'Alchimista (William Fettes Douglas)

"Povero stolto - ammonisce apertamente Artefio rivolto al suo lettore - saresti davvero così ingenuo da illuderti che ti sveliamo, apertamente e chiaramente, il più grande e il più importante dei segreti? Davvero così ingenuo da prendere le nostre parole alla lettera? In buona fede ti dico che chiunque pretenda di spiegare secondo il senso più comune e letterale ciò che gli altri filosofi hanno scritto, si troverà ben presto smarrito in un labirinto da cui non riuscirà mai più a liberarsi..." .

Per lo scrittore di alchimia l'impegno è esporre tacendo, senza mai oltrepassare i limiti oltre i quali la spiegazione diverrebbe delazione. Fulcanelli, alchimista francese del XX secolo, confessa: "Talvolta davanti all'impossibilità nella quale ci troviamo, di spingerci più in là senza violare il nostro giuramento, abbiamo preferito mantenere il silenzio" .

Di quale giuramento parli, possiamo forse intuirlo da un antico manoscritto conservato a Venezia, che riporta una formula nella quale l’alchimista si impegna, in nome della Trinità, a non rivelare i principi essenziali della dottrina, pena terribili castighi divini.

Paracelso in un incisione del '500

Pur badando a non oltrepassare mai il limite della delazione, gli autori di alchimia sono più o meno aperti alle confidenze e in rapporto a ciò meritano la definizione di invidiosi o caritatevoli, avari o prodighi.

Invidioso o avaro è colui che si adopera con ogni mezzo per trascinare chi legge su una falsa pista; caritatevole o prodigo è chi fornisce magari poche spiegazioni, ma sempre veritiere.

Purtroppo una precisa suddivisione nelle due categorie non è possibile.

Autori che sono invidiosi per pagine e pagine, possono diventare caritatevoli su qualche passaggio specifico delle operazioni, e, viceversa, autori caritatevoli possono nascondere in mezzo a molte cose esatte una sola menzogna, sufficiente però a stravolgere il significato di ogni cosa.

Non è raro che un trattato di alchimia si apra promettendo di voler rivelare ogni informazione necessaria con la massima sincerità e chiarezza.

Così il Rosarium Phiosophorum di Arnaldo da Villanova: " Questo libro si chiama Rosario, perché è una cosa fatta breve, tolta dai libri dei Filosofi, nel quale non è alcuna cosa occulta, nissuna fuori di via, nissuna diminuita; ma in esso si contiene tutto quello che è necessario al compimento dell'opera nostra".

Copertina del testo alchemico "Rosarium Philosophorum"

Nonostante il tono accorato, l’affermazione è invidiosa al massimo, perché nessun trattato alchemico, compreso il Rosarium di Villanova, è costruito in modo da potersi dire completo, nessuno contiene l’intero complesso delle conoscenze indispensabili er portare a buon fine la Grande Opera.

Nel migliore dei casi l’esposizione è particolareggiata su alcune fasi dei procedimenti e molto disinvolta su altre; più spesso interi passaggi vengono taciuti; quasi sempre si usa la tecnica di alterare l'ordine cronologico delle singole operazioni: apparentemente il discorso è logico e continuo, in realtà si compie con continui balzi avanti e indietro.

A completare lo smembramento, anche all’interno di uno stesso testo, identiche materie ed operazioni sono chiamate con nomi diversi, e cose diverse vengono definite con termini identici. Un antico Filosofo avverte: "State attenti, o ricercatori di questa scienza, che gli invidiosi smembrarono l’arcano in parecchi pezzi; e trattarono di parecchie acque, succhi, corpi, pietre, spiriti in modo che devastarono quest’arte preziosa con la moltiplicazione di tutti i nomi…".

E Geber scrive: "...tengo a dichiarare che, in questa mia Summa non ho voluto insegnare la nostra scienza in modo continuato, a l’ho disseminata qua e là nei diversi capitoli….".

Oltre allo smembramento, i mezzi usati per nascondere o velare la verità sono molti.

Matrimonio tra il Principio Solare e quello Lunare, da un'antico manoscritto alchemico

Tra i più complessi, ma meno frequenti, è la crittografia, che consiste nello scrivere singole parole o intere frasi secondo una chiave particolare, talvolta in base ad un alfabeto costruito appositamente per l'occasione con segni ermetici, segni di fantasia, lettere e cifre mischiate.

Un bell'esempio di crittografia è nel Codice De Oldanis, del XV secolo, dove alcuni passi sono scritti secondo un alfabeto di venticinque segni: ventidue corrispondono alle ventuno lettere latine (la r è rappresentata da due segni diversi), tre non hanno alcun significato e sono usati in principio, in fine o in mezzo alla parola per aumentare le difficoltà del lettore.

Autori meno avari usano forme più semplici, limitandosi a scrivere nomi alla rovescia, mischiando alla grafia delle parole lettere inutili, mettendo in atto abbreviazioni drastiche, come ad esempio aroph per aroma philosophorum.

Certamente molto invidiosi erano invece coloro che sottraevano alla completezza del testo intere parole per sostituirle con altre prive di senso.

Nel De secretis operibus artis et naturae di Ruggero Bacone c'è un passo, sulla cui autenticità non tutti sono però d'accordo, che nasconde in anagramma la ricetta fondamentale per la fabbricazione della polvere da sparo (nitrato di potassio, carbone di legna, zolfo).

Il brano suona così: "Sed tamen salis petrae luru vopo vir can utri et sulphuris; et sic facies tonitrum et coruscationem si scias artificium". Anagrammando le parole senza senso, luru vopo vir canutri, si ottiene R.VII PART: V .NOV.: CORUL. V:, abbreviazione di "recipe VII partes, V novellae coruli V".

L'intera frase suona allora così: "Ma tuttavia prendi sette parti di salpetra, cinque parti di nocciolo giovane, cinque di zolfo; e così, se conosci l'artificio, farai tuono e lampo".

A Fulcanelli, mai altrettanto caritatevole, si devono ampie spiegazioni sulla cabala fonetica, in base alla quale per comprendere il significato di una parola occorre tener conto del suono dell'insieme di lettere e non dell'ortografia, che ne costituisce il velo.

La cabala fonetica spiegherebbe. ad esempio. perché gli alchimisti facessero spesso riferimento alla leggenda di S. Cristoforo, il gigante che trasportò sulle spalle il Cristo fanciullo attraverso un fiume in piena.

Secondo l'etimologia greca "Cristoforo" significa "colui che porta il Cristo", ma in alchimia, per assonanza fonetica, diviene "Crisoforo", cioè "colui che porta l'oro".

San Cristoforo (dipinto rinascimentale)

"Si tratta - afferma Fulcanelli - del geroglifico dello zolfo solare o dell'oro nascente (Gesù), innalzato sulle onde mercuriali e poi portato dall'energia propria di questo Mercurio, al grado di potenza posseduta dall'Elisir".

In altre occasioni il ricorso alla cabala fonetica porta Fulcanelli a speculazioni ancora più ardite.

Se la logica a volte è carente e la forzatura è palese, chi legge deve comprendere che non è importante il rigore filologico del ragionamento, quanto ciò che il Filosofo cerca di dire tra le righe cogliendo a pretesto la Cabala fonetica.

Ne Il mistero delle cattedrali il solito Fulcanelli svela anche un perfido caso di enigma alchimistico inciso su un muro.

Nella cappella di Palazzo Lallemant, a Bourges, in una nicchia del XVI secolo c'è la scritta "RE- RE, RER" , ripetuta tre volte.

Sul frontone vi sono tre granate ignee.

Secondo Fulcanelli la chiave è nell'indicazione di ripetere tre volte un medesimo procedimento, la calcinazione dello zolfo filosofale (indicato dalle granate ignee).

Quanto alle parole misteriose, spiega: "RE, ablativo latino di res, significa la cosa, considerata per quel che riguarda la materia che la compone; poiché la parola RERE e l'accostamento di RE, una cosa, e RE, un 'altra cosa, tradurremo l’espressione due cose in una, oppure una cosa duplice; così RERE sarà l'equivalente di REBIS".

Il REBIS Alchemico

Purtroppo, dopo aver dato qualche ulteriore chiarimento sul Rebis, Fulcanelli si fa avaro e conclude di non poter essere altrettanto esplicito nella spiegazione dell'altra parola, RER.

Tuttavia, poiché R è la metà di RE, RER equivale ad una materia (RE) più la metà di un'altra o della sua propria (R). Gli alchimisti fanno un uso larghissimo di simboli, giustificato come sempre dalla necessità di nascondere almeno parzialmente la dottrina: "Così anco i Filosofi chimici - si dice nel Dell'imprese - nascondono gran magisteri sotto le aquile, i dragoni, le lacrime, il latte di vergine, luna, sole, matrimonio, monte, risuscitare, spirito, anima e cose simili. Questo si è fatto perché non si conveniva che cose nobili si intendessero da tutti gli sciocchi, perché sarieno state disprezzate e derise, et la filosofia stimata pazzia...".

Molti simboli attingono al mondo animale, costituendo un folto bestiario di cui fanno parte sia esseri mitici, come Il fenice o l'unicorno, sia reali.

L'astrologia contribuisce in modo fondamentale ad alimentare il patrimonio del simbolismo ermetico.

Il rapporto pianeti = divinità = metalli risale alla più alta antichità ed è entrato nell'alchimia con le corrispondenze divenute poi consuete: Sole (Apollo) = oro; Luna (Diana) = argento; Mercurio = mercurio o argento vivo; Venere = rame; Marte = ferro; Giove = stagno; Saturno = piombo.

I dodici segni zodiacali trovano precise corrispondenze in altrettante fasi della Grande Opera i soprattutto con i periodi dell'anno in cui esse vanno svolte: "Lo zodiaco dei Filosofi - scrive l'abate Pernety - non è la stesso che lo zodiaco celeste benché il primo abbia un grande rapporto con il secondo. I segni dei Filosofi sono le operazioni dell'Opera che bisogna percorrere per giungere al loro autunno, ultima stagione del loro anno, perch essa è quella durante la quale i Filosofi raccolgono i frutti del loro lavoro".

Tra gli altri simboli di diversa natura, a ricorrere con grande frequenza sono poche decine.

Nell'ambito del simbolismo si collocano anche le illustrazioni, che quasi mai hanno valore puramente ornamentale.

Costruite piuttosto come vere e proprie appendici ai testi, utilizzano ogni genere di simboli e nell'insieme si leggono un po' come rebus. Esiste, anzi, un libro di alchimia costituito unicamente da immagini, il "Mutus liber", che descrive la realizzazione della Grande Opera in quindici tavole.

Prima pagina del "Mutus Liber"

Vi sono rappresentati un uomo e una donna che lavorano sia all'interno di un laboratorio, davanti all'athanor (forno a forma di torre), sia all'aperto, nei campi, per raccogliervi preziosi influssi cosmici.

Nel corso dei secoli molti autori hanno tentato di interpretare il Mutus liber, ma le loro spiegazioni sono spesso così fortemente contrastanti da non poter essere considerate definitive.

Elementi, corpi ed operazioni sono rappresentati con segni convenzionali.

Sulla loro origine sappiamo molto poco, ma sembra fossero sconosciuti agli albori dell'alchimia latina per entrare poi nell'uso corrente dalla metà del XV secolo.

Dopo il loro primo apparire i segni alchemici diventarono via via più complessi e numerosi, senza però costituire un ulteriore elemento di enigmaticità, poiché le tabelle che costituivano i significati corrispondenti erano di uso comune.

Nel ‘700 l’elenco dei segni era così nutrito che le tavole della Encyclopedie di Diderot e D'Alembert ne comprendevano circa cinquecento.

Ben altro acume gli alchimisti hanno usato per rivisitare la mitologia e la storia sacra, allo scopo di farne rappresentazioni allegoriche della Grande Opera.

La vicenda biblica del profeta Elia, rapito in cielo su un carro di fuoco, è usata nei libri di alchimia come raffigurazione dell'alchimista che ha realizzato il lavoro, ottenendo la trasmutazione di se stesso.

Anche la creazione di Adamo è assimilata all'opera alchemica, poiché come Dio trasse Adamo dal fango, così l'alchimista trae la Pietra Filosofale da una materia iniziale vile.

Il parallelo Cristo nato dalla Vergine Maria = Lapis (pietra Filosofale) nato dall'Acqua Mercuriale trova spazio già nella prima alchimia latina e conduce ad interpretare tutto il mistero cristiano in chiave ermetica.

Il capolavoro di questo filone è l'Aurora consurgens, scritta agli inizi del '300, in cui le Sacre Scritture divengono il pretesto per una lunga esposizione di parabole che in realtà hanno significato alchemico.

Pagina del manoscritto "Aurora Consurgens"

Del 1617 è il Symbola aureae mensae, che illustra l'alchimia come Messa: il sacerdote che officia davanti all'altare è l'alchimista che lavora davanti all'athanor; la Pietra Filosofale è come l'ostia, fonte di grazia e di vita eterna; l'elisir ottenuto con la Grande Opera è come il vino eucaristico; la trasmutazione del metallo vile in oro avviene nello stesso modo in cui l'ostia si trasforma nel corpo di Cristo.

Con l'identico processo si ricorre alla mitologia greca.

Teseo che lotta nel labirinto di Cnosso è l'alchimista che combatte tra le difficoltà della Grande Opera, difficoltà dalle quali si esce solo possedendo il filo d'Arianna, ossia la necessaria conoscenza segreta che fornisce la chiave del lavoro da svolgere; Dedalo ed Icaro, che nel mito evadono dal labirinto usando ali di cera, rappresentano le materie volatili.

Ma il culmine dell'attenzione mostrata dagli alchimisti per i miti greci è raggiunta nell'interpretazione delle vicende di Giasone e del Vello d'oro.

Il Vello d'oro, il cui possesso dà l'abbondanza, è la Pietra Filosofale; Giasone che parte sulla nave Argo è l'alchimista che intra-prende la via umida; le fatiche dell'eroe sono altrettante allegorie delle operazioni da compiere per arrivare al perfezionamento dell'Opera.

Per spiegare questo ed altri miti alla luce dell'alchimia, l'abate Pernety (1716-1801) scrisse Le Favole greche ed egiziane svelate.

Lo stesso autore, nell'intento di facilitare la comprensione dei trattati di alchimia, compilò anche il Dizionario mito-ermetico, che a sua volta non è un modello di chiarezza, poiche attribuisce a molte voci significati troppo generici o troppo oscuri.

A volte l'allegoria percorre l'intero testo e non soltanto alcuni brani.

Il Libro delle figure gerogljfiche, scritto agli inizi del XV secolo con la firma dello scrivano parigino Nicolas Flamel, nasconde, sotto la forma di autobiografia reale e documentata, il resoconto del cammino mistico dell'autore.

Il Libro delle figure geroglifiche di Nicolas Flamel

Nel nucleo centrale della narrazione Flamel ricorda come un giorno sia entrato in possesso di un manoscritto di alchimia molto vecchio, largo e dorato, composto da tre gruppi di sette fogli ciascuno.

Dopo averne studiato invano il contenuto per molti anni, egli si era deciso ad andare in pellegrinaggio a S. Giacomo di Compostela, in Spagna, per chiedere la grazia di una giusta interpretazione.

Adempiuto al voto, sulla via del ritorno aveva incontrato un mercante bolognese ed un ebreo convertito, Mastro Canches. 

In compagnia di quest'ultimo Flamel aveva concluso, via mare, il viaggio verso la Francia, ma al momento dello sbarco l'amico ebreo era morto, non senza aver prima rivelato il significato dello strano libro.

Dopo altri tre anni di studio e di lavoro, Flamel era riuscito finalmente ad ottenere la sua prima trasmutazione.

Per molto tempo si è discusso se lo scrivano Nicolas Flamel, realmente esistito a Parigi tra la fine del '300 e gli inizi del' 400, sia stato davvero un alchimista e se davvero sia da considerare l'autore del Libro delle figure gerogljfiche.

Per i seguaci dell'alchimia la questione è irrilevante, ciò che conta è il significato riposto.

Il manoscritto vecchio, largo e dorato simboleggia un sapere antico, di vasta dottrina, che ha per oggetto i metalli.

I ventuno fogli sono le sette operazioni dell’alchimia, da ripetersi tre volte.

Il pellegrinaggio a Compostela è l’allegoria della strada da seguire per giungere all’illuminazione, da ottenersi con la fede e la devozione.

Nicolas Flamel (incisione di Rembrandt)

Nel terzetto Flamel - mercante bolognese – Mastro Canches è la dissoluzione della materia prima.. Analogamente, anche altri elementi della biografia possono essere colti allegoricamente. 

Nella storia della letteratura alchemica il moltiplicarsi degli strumenti di occultamento dei contenuti cammina di pari passo con il proliferare degli scritti.

Non è un caso se si considera che i libri di alchimia si sono fatti più frequenti via via che la trasmissione orale della dottrina, da maestro a discepolo, diventava sempre più rara.

E’ da supporre che nel momento in cui l’insegnamento e il contatto personale iniziarono ad essere un’eccezione, i maestri abbiano sentito la necessità di affidare alla scrittura il proprio sapere, premurandosi però di nasconderne le chiavi.

Il lettore poco saggio o frettoloso avrebbe così intravisto soltanto le meraviglie del giardino alchemico. 

Ogni sapere sarebbe stato riservato al lettore capace di meritarlo con un paziente, quotidiano lavoro di meditazione ispirato a quel motto dell’alchimia che raccomanda: "Prega, leggi, leggi, leggi, rileggi, lavora e troverai". 

In realtà la difficoltà di accesso non serve soltanto a tener lontano i curiosi e gli indegni; è anche lo strumento idoneo a trasformare i meccanismi mentali del lettore, rompendo il suo ordine logico e risvegliando in lui regioni di coscienza oscurate, le uniche a consentirgli di comprendere l’essenza della Grande Opera. 

La rottura del piano razionale come mezzo indispensabile per poter accedere allo stato di risveglio, di illuminazione, in cui tutto acquista un senso, è lo stesso perseguito dallo Zen e da altre dottrine esoteriche.

Il cifrario più difficile da sormontare non è dunque quello esterno al testo, che – quando è presente – può essere ricostruito con qualche sforzo.

Il vero cifrario, che rende impenetrabili i testi, è quello non convenzionale che proviene naturalmente dalla realtà che cela. Come scrive Butor: "E’ dunque vano indagare quale aspetto del simbolismo sia destinato a sviare. Tutto svia e rivela in pari tempo.".

 

 Andrea De Pascalis

Tratto dal sito www.airesis.net

         

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