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Excalibur
(20/09/2009)

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Excalibur

La storia dell’uomo è sempre stata costellata da miti e da leggende che si perdono nella notte dei tempi; racconti incredibili, fantastici, allo stesso tempo affascinanti, che ispirano la fantasia di ognuno di noi, ma che, nello stesso tempo, risvegliano, nei luoghi più reconditi della nostra anima, il germe della ricerca e l’aspirazione a qualcosa che va oltre l’umana percezione.

Moltissime sono le immagini evocate che colgono di sorpresa la nostra natura più profonda, risvegliandone, nel linguaggio dei simboli, la disposizione verso qualcosa che travalica il vivere quotidiano e profano.

I miti e le leggende sono ciò che ancora resta di un mondo magico e perduto che ancora vive, nascosto, all’interno di noi stessi.

E’ un mondo che non è mai morto, che si nasconde tra le pieghe dell’umana natura e si svela ogni volta che il nostro essere permette all’anima di guardarsi allo specchio e di riconoscersi in qualcosa che è parte di un unico progetto universale, parte di un corpo cosmico che tutto tende a trasformare e rigenerare.

E’ tempo di riscoprire il messaggio ancestrale che si cela dietro questi racconti.

Sono parte del nostro patrimonio genetico, lascito dei nostri avi per ricordarci, ancora oggi, in un mondo dominato dalla superficialità, dall’alienazione e dalla profanità, la vera natura dell’uomo e il progetto che lo accompagna.

Tra tutti i grandi miti ve ne è uno che più di ogni altro è ammantato di suggestione e incanto: è la leggenda di Excalibur! La spada di re Artù.

La Spada nella roccia

La spada regale per eccellenza. La lama attraverso la quale si penetra il Mistero e si conquistano la Pace e la Giustizia.

Ma questa non è una semplice arma, e lo dimostra il fatto che è strettamente legata ad un altro mito, forse ancora più importante: quello del Graal e della sua ricerca.

Miti, entrambi, che si intrecciano tra loro, come accade per le origini che li accompagnano.

Ogni mito, infatti, così come per questi, non esprime una sola versione originale.

I racconti, nel corso della storia, hanno subìto numerosi apporti e corruzioni che ritroviamo, in questo caso,  nelle diverse versioni del ciclo bretone e arturiano: un sincretismo tra tradizione celtico-pagana e tradizione cristiana medievale.

La natura più profonda di questi miti risale senza dubbio a una tradizione primordiale, contaminata, in seguito, dall’apporto culturale delle popolazioni che le fecero proprie.

Nonostante questo, però, il cuore del messaggio rimane invariato, conservando in sé i significati universali e ancestrali che originariamente trasmettevano.

Ma cosa vogliono dirci realmente questi racconti e cosa si cela dietro i loro simboli arcani?

E’ qui che, a questo punto, è opportuno entrare nella Storia, poiché proprio dalla Storia possiamo trarre una spiegazione.

La maggior parte dei racconti, in cui si parla espressamente di Excalibur, sono di origine medievale e più precisamente risalenti al XII secolo, periodo in cui in tutta Europa ci fu un nuovo fiorire culturale di cui, la massima espressione, furono l’edificazione delle cattedrali gotiche, la stesura dei racconti del ciclo cavalleresco e dell’amor cortese e, soprattutto, la riscoperta dell’Arte Regia, altrimenti chiamata Alchimia; una parola, in sintesi, per tutto ciò che in seguito fu chiamato Umanesimo, la filosofia esistenziale che poneva l’uomo al centro del cosmo, ritrovando le leggi dell’universo all’interno dell’uomo stesso, crocevia tra realtà macrocosmica e microcosmica.

Ma all’origine di tutto questo movimento culturale di trasformazione vi fu l’Ordine che più di ogni altro segnò la storia di quel periodo: i Cavalieri Templari.

Cavalieri Templari

E non è un caso che ogni volta ci si avvicini al Mistero si parli di loro.

Senza dubbio quest’Ordine, oltre ad avere, per costituzione, un carattere politico-militare-religioso, aveva certamente, al suo interno, nelle persone della cerchia più ristretta, una missione e un obiettivo più alti: stimolare un cambiamento di coscienza nell’intera umanità, travalicando l’aspetto restrittivo religioso, portando l’uomo, attraverso lo stimolo subliminale dei simboli, nascosti nell’architettura e nel mito, ad un contatto più intimo con la propria natura ed il proprio Essere, liberandolo dal giogo della paura del dogma e della superstizione.

Ma, tornando alla Storia, è ora opportuno parlare di un luogo, legato ai Templari, dove realmente il mito diventa realtà: il luogo della spada nella roccia!

La Spada nella Roccia di San Galgano

Si tratta di San Galgano, località nei pressi di Siena.

Sembra strano che si parli di un posto così lontano dai luoghi descritti nelle leggende del Graal, ma, allo stesso tempo, così vicino, per non dire identico, negli aspetti e negli elementi, a ciò che in essi è descritto.

Ma la realtà è questa: in Italia, e precisamente in Toscana, c’è un luogo magico in cui ognuno di noi può ammirare una spada, del XII secolo, conficcata nella roccia.
E’ pur vero, però, che, entrando nel dettaglio, tutto appare più coerente.

In effetti questa spada misteriosa si trova all’interno di una chiesetta a pianta circolare situata sopra la collina prospiciente l’Abbazia cistercense di San Galgano: Montesiepi.

L' abbazia cistercense di San Galgano

Questo fu il luogo dove, secondo la leggenda, si trasferì Galgano Guidotti nobile cavaliere, decidendo di abbandonare le armi per dedicarsi a Dio, dopo aver sognato l’Arcangelo Michele.

Il giovane, presa la sua decisione, conficcò la spada nella roccia per poterne adorare l’elsa come croce di Cristo.

La suggestiva cupola dell'eremo di Montesiepi

Altro elemento importante sta nel fatto che la spada è realmente una spada del XII secolo, ma ciò che stupisce è che è una spada templare.

Ma, oltre alla spada, ciò che attira la nostra attenzione è l’origine del luogo e il suo nome.

Sembra che esso sia un toponimo antico che stava ad indicare un luogo elevato e chiuso, dedicato ai riti pagani.

Inoltre il tetto a cupola dell’eremo è decorato a cerchi concentrici ed evoca alla mente una chiara simbologia celtica, utilizzata, nel richiamo cromatico, bianco-nero, nel più famoso vessillo di guerra, dagli stessi Cavalieri Templari: il “Beaussant”.

Nella leggenda, inoltre, si narra che Galgano avesse visto in sogno l’immagine di Gesù e dei suoi dodici apostoli riuniti intorno ad una tavola rotonda: un forte richiamo ai dodici cavalieri di re Artù e alla tavola attorno alla quale si riunivano.

In ultimo, il nome di Galgano ricorda in maniera piuttosto netta quello di Galvano (Gawain in inglese),  cavaliere di Artù che, in altre versioni, è ritenuto il vero destinatario della spada magica offerta dalla Dama del Lago di Avalon.

Le coincidenze sono molte, ma considerando che la storia di San Galgano precede solo di qualche decennio gli anni in cui sono stati scritti i primi racconti del ciclo arturiano, c’è da pensare se sia stato Galgano ad ispirare tali leggende o se queste e i Templari abbiano dato la spinta inversa per creare in Toscana e più precisamente a Siena il luogo destinato per la ricerca del Graal.

Il Beaussant (sopra) e lo stemma di Siena (sotto)

Non a caso lo stemma di Siena è identico al “Beaussant” templare. Indice chiaro dello stretto legame tra la città e l’ordine cavalleresco.

Ma usciamo adesso dall’aspetto suggestivo, storico-leggendario, ed entriamo nel mistero più profondo che si cela dietro tali leggende e soprattutto dietro questa misteriosa spada.

Sappiamo dello stretto legame tra i Templari e l’Alchimia e di come essi stessi, attraverso i simboli, ne evocassero i misteri.

Ebbene, dietro tutte queste leggende, dietro questa mitica spada, si nasconde il reale mistero alchemico della Legge di Trasmutazione.

Nella leggenda di Artù, il futuro Re diventa tale nel momento in cui estrae la Spada dalla roccia, come profetizzato da Mago Merlino.

Più tardi, questa stessa spada si spezzerà a causa di un colpo ricevuto in battaglia.

E’ così che Artù ne riceverà una nuova e indistruttibile dalla misteriosa Dama del Lago.

Le innumerevoli versioni letterarie che si intrecciarono nei secoli portarono, più recentemente, alla distinzione tra le due spade attribuendo il nome di  Excalibur soltanto alla seconda.

Ma questo non è importante per arrivare a conoscerne il mistero.

Partiamo dal nome che l’accompagna: Excalibur!

Si dice che la sua etimologia derivi dalla lingua latina e che sia un composto di Ex+Calybes, ossia forgiata dai Calibi, antico popolo Armeno legato all’arte della lavorazione dei metalli. Altre versioni ne danno origine dal nome celtico Caledfwylch che poi, trasformato nel bretone “Caliburn”, significa: acciaio lucente o indistruttibile.

In entrambi i casi, comunque si fa riferimento alla metallurgia e di conseguenza alla conoscenza della lavorazione dei metalli.

Questo fatto non può che evocare qualcosa a noi familiare come il lavoro alchemico, arte della trasformazione dei metalli, dallo stato grezzo all’oro (metallo lucente!).

Ma, personalmente, oserei dare un’ulteriore versione all’origine di tale nome, un’origine più arcana e misteriosa.

Il nome bretone “Caliburn” può derivare da Calixburn un sincretismo anglo-latino formato dai termini Calix (calice) e burn (di fuoco).

Ecco che unendolo ad  “Ex” abbiamo la risultante Ex-Calixburn e cioè: nata dal Calice di fuoco. E parlando di un calice, non possiamo che pensare al Graal.

Ma se vogliamo addentrarci ancora di più nel nome di Excalibur e nella tradizione celtica, scopriamo che “Ur” è il nome della seconda runa del Futhrak, uno dei più antichi alfabeti simbolici che si ricordino, e ad essa  corrisponde una carta che rappresenta la Forza Primitiva.

La Runa "UR"

L’”Ur” incarna la perseveranza e la resistenza ed esprime la voglia di combattere contro tutte le avversità che si presentano e la capacità di superare tutti gli ostacoli.

Ma la cosa ancora più sconcertante è che “Ur”, dall’inglese antico, si traduce in gotico in “Urus”……..che conduce direttamente ad Horus e quindi ad Oro!

Sembrerebbe tutto un gioco di parole se non fosse per la reale consistenza del valore di ciò che questo nome incarna.

La spada è per eccellenza il simbolo del Verbo e non a caso esce dalla bocca del Cristo nel giorno del Giudizio.

Ma non si tratta di un giudizio di condanna, ma di un’azione per riportare equilibrio nel Caos.

Non a caso un’altra forma etimologica del nome “Excalibur” viene da Ex "Calibro" che tradotto dal latino significa: in perfetto equilibrio.

Ma cos’è , dunque, questo Verbo? E perché è conficcato in una roccia?

In poche parole tutto ciò che è Forma in questa dimensione è stato formato dal Verbo.

Tutto ciò che siamo e che vediamo contiene il Verbo ed esiste in quanto lo stesso Verbo ne ordina la struttura.

Il Verbo è la Legge che definisce le Forze che tengono unito il nostro corpo, è l’ordine e il comando che fissa, che mantiene e contiene la frequenza e la vibrazione degli atomi all’interno di quella forma che chiamiamo corpo.

E la roccia?

E’ la materia caotica ordinata dalla Spada del Verbo, codificata in ogni sfaccettatura, che si differenzia a seconda dell’onda di frequenza da cui è investita.

Tutto appare semplice e lineare, ma non è così.

Torniamo al mito e ai suoi simboli, torniamo al Calice di Fuoco e al suo significato.

Artù sfilando la spada dalla roccia separa la Materia dal Verbo e si appropria di quest’ultimo diventando Re.

Ma come fa ad estrarre la spada?

Cos’è che gli permette di compiere tale opera?

Artù è figlio naturale di quell’Uther Pendragon (che significa “testa di drago”) a cui Merlino disse di uccidere un particolare drago se voleva divenire re.

Miniatura raffigurante Uther Pendragon con la testa del drago

Egli riuscì nell'impresa decapitandolo, e pose la testa del drago sullo scudo come simbolo della sua vittoria.

In questo gesto c’è tutto il Mistero alchemico della fase di separazione in cui viene separato ciò che è animale da ciò che è divino.

Artù è quindi l’unico, essendo figlio di colui che detiene “il potere del drago”, a detenere il codice del “separandum”, il potere di dividere il Verbo dalla Materia, ed è con questo che separa la spada dalla roccia, appropriandosi del Verbo che era prigioniero in essa.

Artù diventa allo stesso tempo l’agente separatore ed estrattore nella dimensione macrocosmica, in quanto rappresenta il “Mercurio” o “Hermes” che estrae l’Oro-Verbale dal piombo del quaternario.

Alla luce di ciò, è singolare osservare come, nella lingua latina, “Orare” significhi “pregare” e la preghiera-orazione diventi, quindi, un atto magico di potere per intercedere  con il divino per trasmutare la realtà.

Con questo Artù diventa Re di Giustizia e di Pace, distruggendo le forze del Caos e riportando la Britannia in uno stato di Grazia.

Ma, ben presto, accade qualcosa che sconvolge la situazione.

Durante un combattimento la spada di Artù si spezza.

Lo spezzarsi della spada indica che qualcosa al suo interno non si è compiuto, come se gli elementi in essa presenti non si siano realmente fissati tra loro.

E’ così che, in seguito a tale fatto, la spada viene gettata nel lago e in esso rinsaldata e riconsegnata ad Artù dalla Dama del Lago.

Excalibur e la dama del Lago

E’ attraverso questo simbolo che prendiamo coscienza che il compimento dell’Opera può avvenire soltanto grazie all’immersione del Verbo nell’acqua lustrale, l’acqua di fuoco, rappresentata dalla “coppa-bacino” del lago unito al potere femminino della Dama.

La spada del Verbo, estratto dalla rozza materia attraverso il Mercurio, deve essere quindi fissato nuovamente alla Materia, resa nuovamente vergine dal fuoco dell’Athanor (in questo caso il lago, il calice di fuoco) e quindi riunita e rinsaldata in quello ierogamos di fuoco dove il principio maschile e femminile diventano le parti di un bicomponente che cristallizzerà, in una nuova materia incorruttibile e indistruttibile, il corpo di Luce!

Nascerà così la nuova Excalibur espressione del Verbo fatto carne, unito nel Graal, trasmutatore e rigeneratore, alla Materia rettificata e sublimata nella Luce Divina.

Ma è importante, in tutto questo, operare con attenzione perché la conquista del Verbo non è cosa facile.

La forza del Drago è spaventosa e può ritorcersi contro chi non sa gestirla.

Torniamo, ad esempio, all’origine calibica della spada, ai figli di TubalKain “Il Fabbro, padre di quanti lavorano il rame e il ferro” (Genesi, Cap. IV, v. 23) e pensiamo all’arte della lavorazione dei metalli, di come e di quanto sia complessa e delicata.

Si pensi, ad esempio, che “…nell’antica Roma, l’arte sacra a Vulcano, era praticata all’esterno delle mura della città in quanto le forze telluriche che tale artigiano riusciva a confinare nel metallo, durante la sua lavorazione, non potevano essere affrontate in vicinanza di altri uomini, poiché tali energie risultavano essere difficilmente controllabili…. Per domare le ctonie forze della Natura, l’”Ur” nordico, la Forza Primordiale, l’Uther Pendragon della Saga Arthuriana, era necessario un uomo fuori dal comune, un canale libero e diretto con la Trascendenza, e quindi con i princìpi stessi della Natura.”

E’ da questo che deriva il tacere dei maestri nei riguardi di chi non è pronto ad affrontare tali forze.

Il linguaggio velato non protegge i misteri nascosti nell’Arte Regia, ma coloro che gli si avvicinano senza esserne pronti, guidati più dalla curiosità e dalla brama di potere che dal sincero amore per la Vita, la Conoscenza e la Verità.

Soltanto chi avrà conosciuto il proprio Fuoco nel crogiolo del proprio Athanor e lo avrà dominato con la volontà, con l’umiltà e il potere del Verbo, saprà gestire le proprie forze ctonie, confinate negli inferi delle proprie miniere, nell’oscurità della tana del drago, custode del vero Potere e della vera Sapienza.

Il drago, il graal, il cavaliere: simboli della trasmutazione alchemica

Alla luce di tutto questo credo sia importante per ognuno di noi e per l’intera umanità ritrovare la spada perduta, rinsaldare l’Excalibur spezzata dal sonno della coscienza e ritrovare in noi quella regalità divina che ci restituirà il regno perduto.

E’ opportuno, però, che ogni uomo sia disposto ad affrontare il proprio Fuoco Alchemico consumando in esso i propri vizi, rigenerandosi da essi nelle Virtù dello Spirito.

Solo allora, come la Fenice, potremo nuovamente spiccare il volo dalle nostre stesse ceneri e potremo innalzarci al di sopra dell’umana miseria assurgendo a Re di questo Mondo.

Mi auguro infine che in un giorno, non molto lontano, la stessa umanità possa liberarsi degli uomini corrotti che la governano e la confinano nell’ignoranza e possa esprimere, finalmente, un nuovo Artù o Re illuminato, manifestazione del Re Sacerdote e Padre Melkitzedeq, che nel macrocosmo planetario governi nella Pace, con Giustizia e Rettitudine, riportando il mondo all’età dell’Oro.

I tempi sono maturi perché tutto cambi!

Eleazar

 

 

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