CANTO ALLEGRO MALINCONICO
Io son Maestro riconosciuto in Cielo
e torno qui ogni volta per tutti
ma ahimè io son per pochi.
Non so perché ho questa sorte che appar funesta
perché mi prodigo, dono, realizzo per aprir la testa
a color che con sana pazienza ma anche bramosia
tentan di comprender la via.
Son Mago e giocoliere perché io so;
nei quattro semi vi è il potere
ma per dar loro un senso e un’armonia,
ricorrer devo all’Alchimia;
e risvegliar le potenzialità
solo il mercurio lo potrà.
A questo viaggio cui io mi appresto non son solo
perché del Tempio son colonna
ma a sostener il tutto vi è pur la donna.
Papessa i saggi l’han chiamata
perché il suo fine è d’esser ingravidata.
Colei che con la chiave apre la porta e si fa fecondatrice
della natura naturante è Imperatrice.
Il cuore mio nelle sue mani brama
della trasmutazion svelar l’oscura trama.
I miei poteri io posso liberare
che l’acqua e il fuoco ho saputo miscelare;
così di sforzo in sforzo il trono ho conquistato
e su di un cubo levigato son appoggiato.
Triangol e quadro l’Imperatore unisce
e l’uomo universal ne scaturisce.
Il fuoco sacro è acceso, il suo colore è cangiante
il simbol è del Ierofante,
colui che del suo centro usa gli attrezzi,
per tramutar in oro, metalli grezzi.
Col mio lavoro alacre il seme dell’amore s’è innalzato
e giunto son all’Innamorato.
Al bivio io m’appresto, sceglierò il sinistro o il destro?
La via dell’umana esperienza o quella che ci apre la coscienza?
Io tento poiché
sul Carro del Trionfo vo’ salire e fino l’ultimo sigillo aprire.
Di questo non v’è dubbio, che il lavor reale è quello d’innalzare
quell’energia, che chiamo mercuriale.
Miscelo e rimiscelo senza posa
che, dei due principi vo’ far una sola cosa
dei due mercuri bianco e rosso, della misericordia e del rigore
trovar il giusto equilibrante che allor si manifesta
come una spada fiammeggiante.
Dai lombi ora lo sento, s’espande quel mistero
che dal duale all’uno è il Magistero;
perciò che adesso io possa
con amor e con perizia; fissar la mia Giustizia.
Della passione e il desiderio la Forza ho controllato
e al mio baston mi trovo ora appoggiato;
dove attorciglia le sue spire quel serpente,
che ormai rimane fisso ed obbediente.
Avvolto son nel mio mantello e quella luce che da esso emana, è il simbol dell’amor
che ogni cuore invita;
incontra il mio cammin son l’Eremita.
Al dieci son approdato; il numero perfetto
che vè femmina e maschio sotto lo stesso tetto.
Il fuoco insieme all’acqua s’è amalgamato
e la mia terra ho già santificato; che della Sfinge il segreto vo’ carpire,
di com dalla materia lo spirito esaudire.
Io so come svelar a te la lieta novella;
per questo ti consiglio di usar la manovella.
Se della Ruota l’arcan compreso avrai
la forza che ti dona capirai;
quella che dal cuore sgorga con ardore,
ed è la madre del verbo emanatore.
L’anima mundi che dal sol viene baciata e il suo splendor emana ardita,
per rinnovar ogni volta il ritmo della vita.
Arduo è codesto cammin che tiene il cor in sospeso,
ma alfin giunto son, al simbol dell’Appeso.
Ma non pensar che tal figura sia funesta,
sol perché, tien giù la testa, e non crucciar perciò il tuo pensiero,
che il risultato è del magistero.
Del due ho fatto uno, e ciò che era nel basso io ho elevato,
per questo mi sono ribaltato.
D’oro e d’argento, nel cuor sbocciato è, il mio credo;
che con umil sacrificio al mondo concedo.
Perire alfin è giusta sorte
perciò che ho incontrato la mia sorella Morte.
Fra le sue braccia il mio essere s’è abbandonato,
e la peggior delle paure ha superato.
Vista com’è da occhio profano,
ella ci appar come un oscuro arcano,
ma la sua falce che di re e regine taglia la testa,
il separando alchemico manifesta.
Così che il seme si mortifica nel buio della terra;
e si sacrifica per rendersi matrice di quel sublime compito ch’è
far sorger la Fenice.
Cosciente son del lento avanzare,
ma luna e sol continuo a mescolare; creare vo’ l’androgenia della sostanza;
che alimenta nel mio cor la Temperanza.
E’ un’ acqua speciale che dal ciel discende e la nostra terra cangia
ma si può aver soltanto; se del sol la luna
l’energia mangia.
Ecco perciò, che il fuoco che dagli inferi è emanato
dal diavolo viene procreato.
E’ un fuoco filosofico; dissolvente
che apre immensi spazi alla mia mente.
Egli usa il sangue affinchè tu possa,
far della tua terra nera, terra rossa.
Capron l’han disegnato il poverino,
ma ei è solar e luciferino.
E’ il fuoco magico; che ognun nella sua vita ad ogni passo,
po’ utilizzar per elevar se stesso
o cader in basso.
Se il regim del fuoco, perciò degenerando sbagliato hai
lungo la strada, la Torre incontrerai;
ma non aver paura, se la tua terra trema, perché per l’iniziato
codesta è; prova suprema.
Tornar a salir devi le scale, che come dice il saggio
chi più in basso va più in alto sale.
Forte che son del periglio passato,
la visone delle Stelle il cielo m’ha donato.
Oro ed argento a piene mani, vien elargito,
che terra al ciel alfin s’è unito;
ma proseguir il cammino ancora s’ha da fare,
che l’Opera dal rosso al bianco ha da passare.
E voi fantasmi della notte che ancor mi rincorrete;
vittoria su di me giammai avrete.
Dall’ingannevol luce lunare,
lo sguardo vo’ girare; poiché al sol ogni mia azion è diretta,
che tentazioni, egoismo e poter, a me più non diletta.
Mia cara Luna a te ringrazio pe’ la tua essenza,
perché io so per me
esser esperienza, ma pure so che a superarti o luminare;
per me ogni tenebra scompare.
Queste gocce d’oro e d’argento ho meritato,
del mio travaglio, che ho ora superato;
ormai dal ciel la grazia scende sull’eletto;
che già s’è tramutato in androgeno perfetto.
Il Sol abbraccia ogni cosa,
e la terra al ciel è andata sposa;
in un amplesso che dal soffio del verbo è trasportato,
per rinnovar e illuminar, tutto il creato.
Ora son figlio d’Era;
della madre terra
e nel mio esser non v’è più guerra;
poiché ogni atomo, di rugiada celeste,
ormai s’è fatta veste.
Son l’iniziato, il risvegliato,
dal proprio fuoco rigenerato.
Sono colui ch’aperto il cuore; sono l’iniziatore.
Sono dinnanzi al mio proprio Giudizio, alla creazione di una nuova realtà;
di cui ho conquistato la regalità.
Il Mondo mi appartiene,
perché è nelle mie vene;
degli elementi ho fatto una sol cosa,
e adesso al centro il mio essere riposa.
Ma non considerar questo riposo, com’è il dormiente;
poiché della natura,
la legge ho in mente.
La grande opera si corona,
e della luce ho fatto la mia icona;
ed è una luce saggia, che lava via le angosce,
ognun la può ottener ma sol allorquando
il padre nel figliol si riconosce.
Allegro e spensierato,
concluso ho il mio mandato;
perciò io dico a te figliolo mio,
che se ti dicon matto, son Matto anch’io.
Ma come vedi il mio numero è lo zero, quel che si dice il compimento,
così ch’io posa andar dall’uno al cento,
e libero son da ogni giudizio e d’ogni maldicenza,
che non ostacola più la mia coscienza.
Perciò in fin dei conti io ti dico:
Se un matto come me sulla tua strada vuoi incontrare,
dentro di te, prima di tutto hai da guardare.