Se consideriamo tollerare come sopportare qualcuno o qualcosa, nonostante non si confaccia ai nostri canoni di ragionamento, abbiamo ben poco da sperare che l’uomo riesca in questo intento: appunto il tollerare.
Vista in questa ottica l’azione di tollerare implica sempre una repressione forzata dell’istinto, o delle proprie idee in funzione del quieto vivere comune.
Esiste quindi un rapporto con gli altri che si regola per mezzo della tolleranza, cioè una specie di bonaria sopportazione l’uno dell’altro; ma quando questa viene a mancare le relazioni si irrigidiscono e si crea attrito.
Mi chiedo : “E’ in questo modo che dobbiamo considerare la tolleranza?”
Per avere dei risultati nella pluralità degli eventi che influiscono sulla società, è necessario capire che bisogna verificare prima lo stato di salute dell’unità, che sommata una ad una crea la totalità.
La mira va spostata su un altro parametro del discorso, perciò invece di vederci rapportati con i nostri atteggiamenti verso gli altri, considerare innanzitutto quale rapporto abbiamo con noi stessi. In poche parole: quanto siamo tolleranti verso di noi?
La tolleranza rimane tuttavia una sorta di sopportazione, come ci rimanda l’etimo della parola e, quindi rappresenta sempre una zavorra che ci poniamo sulle spalle pur di piacere agli altri nelle varie circostanze.
Credo, come accennavo prima che i conti li dobbiamo fare prima di tutto con noi stessi.
Se siamo la “pietra grezza” che va raffinata, sostenere i duri “colpi di maglietto” invece che una tortura può diventare un lavoro faticoso ma entusiasmante, a patto che al posto della tolleranza, poniamo l’amor proprio.
Definire l’amor proprio non è molto facile, soprattutto perché dovrebbe essere una specie di balsamo dell’anima, che viene instillato a poco, a poco, attraverso l’educazione del singolo individuo.
Fin da piccoli ai bambini si dovrebbe trasmettere l’idea che sono essere preziosi, unici ed irripetibili, per questo è di basilare importanza che inizino a conoscere se stessi, incominciando dal loro corpo e, acquisire una libertà di movimento senza essere vincolati da preconcetti per cui “toccarsi non si fa”, “allargare le gambe non sta bene”, ecc. ecc.
Nella loro mente fresca non c’è traccia di peccaminosità; perché inquinarla allora?
Purtroppo però, nella società odierna, si da molta importanza alla globalizzazione mascherata da un’apparente democrazia generale e, da una solidarietà che nella stragrande maggioranza dei casi, è solo un gran giro di soldi. Il piano nascosto, e già se ne vedono gli effetti, è invece quello di creare sempre più gregge; gruppi di persone incanalate in forme pensiero che sono gestite da chi vuole impacchettare e preconfezionare la vita di ognuno.
Con questo ritmo, si rischia di perdere la propria identità, sballotata continuamente fra: “Non puoi farti mancare questo, corri a comprare quest’altro , non puoi fare a meno di, vota per me” e così via.
Il nostro io è completamente soggiogato e giace afflosciato come un palloncino bucato.
Ci hanno fatto perdere la tenerezza di abbracciare la nostra interiorità; la possibilità di riconoscerci come uomini e donne, con tutti i nostri difetti magari, ma anche con la possibilità di poterli trasformare in virtù.
Ci hanno fatto perdere il contatto con la Madre Terra e quindi la consapevolezza di essere figli di questo bellissimo pianeta che ci ha dato la possibilità di fare questa esperienza.
Ci hanno tolto il beneficio del dubbio, quello creativo ovviamente, che è il fautore della ricerca, lo scandaglio delle nostre esistenze nel tentativo incoraggiante di comprendere chi siamo, perché siamo e dove andiamo.
Hanno tramutato questo dubbio in un perverso gioco di malafede e di mancanza di fiducia gli uni verso gli altri. Non è vero, come recita un proverbio che: “Fidarsi è bene non fidarsi è meglio”; dove è finito il calore umano che erompe dai rapporti interpersonali? Come possiamo aiutare noi stessi a progredire se non ci confrontiamo con gli altri?
Rimanendo isolati interiormente, daremo spazio solo al nostro ego che continuerà a costruire castelli di sabbia, facendoci falsamente credere di aver raggiunto chissà quale meta; così accadrà come quel tale,, che isolato da tutti su una montagna inventò l’ombrello; pensò di aver realizzato qualcosa di straordinario, ma quando scese in paese per mostrare la sua scoperta, si accorse che già tutti lo usavano.
Senza il senso di umiltà non si va da nessuna parte; essa è la linfa fondamentale per creare l’amor proprio di cui parlavo prima.
Essere intelligenti ma semplici e con il desiderio di imparare, apre le porte alla conoscenza. Dobbiamo perciò riconoscere innanzitutto che non siamo limitati da nessun peccato originale e, quella umiltà cui mi riferisco non è certo la condizione di chi deve continuamente chinare il capo e pentirsi per aver commesso qualcosa che non doveva, ma è altresì da intendersi riferita alla percezione della propria umanità interiore; l’humus della propria terra nella quale l’umiltà non è altro che il sereno eterno svolgere delle leggi della natura.
E’ il luogo dove dobbiamo discendere per scoprire le cause che muovono la vita e, riconoscere la “pietra” cui fa cenno la tradizione ermetica; “ umiliarla” prima per sublimarla poi, così nell’unicità della sua essenza la nostra coscienza, come la fenice, risorgerà dalle sue ceneri.
Quanto espresso, ha una valenza straordinaria per quanto riguarda l’esperienza che si acquisisce nel tentativo sacrosanto di riconoscere se stessi; infatti in un contesto sociale equilibrato, l’unica gerarchia possibile è quella che si determina con il “sacrificio” operato su di sé per acquisire il vero nome di uomo e donna con maiuscola, fino al merito massimo che porta alla conquista dei tre doni: la Regalità, la Spiritualità, la Terapeutica.
Ognuno porterebbe il proprio contributo in base all’esperienza di vita vissuta e di conoscenza maturata, cosicchè le apparenti differenziazioni di classe sarebbero solo una conseguenza naturale determinata dal progresso di ogni singolo cittadino.
Tutti sarebbero accomunati da un gran rispetto dove non si sarebbe posto per l’invidia.
Il compito da sostenere in questa nuova era, è andare incontro alle frequenze energetiche che sono sempre più accelerate, le quali stanno indicandoci che un nuovo modo di concepire la vita deve essere realizzato.
I nostri schemi e parametri e valori del vivere quotidiano, sono obsoleti, snaturati e ormai scarichi energeticamente.
L’atmosfera metallica che aleggia nell’aria, che è un riflesso della mancanza di fiducia generale, deve essere sostituita con la consapevolezza che siamo tutti collegati da una trama che trasmette continuamente al pianeta e alle creature che vi abitano (compreso l’uomo) le vibrazioni delle frequenze che noi produciamo.
Perciò invertiamo la rotta dei nostri propositi.
Se ci distacchiamo dal morboso e ossessivo bisogno del possesso esclusivamente materiale, utilizzato quasi sempre per prevaricare, cesseremo di vedere la nostra vita solo come un’affannosa lotta per l’esistenza.
Rilassandoci, in un certo senso, riusciremo ad essere più attenti, riusciremo ad essere più osservatori del panorama che ci circonda, ma che è anche dentro di noi, e che incessantemente ci dimostra che la vita semplicemente è; ma siamo noi con il nostro amor proprio ne determiniamo la qualità.
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