Dalla lettura delle iscrizioni di cui or ora ho parlato, sapevo ormai quale strada dovevo prendere. Rivolsi i passi verso l'Oriente.
Tre passi avanti, altri di fianco, qualcuno indietro: ecco il mio cammino.
Cado, e mi rialzo. Persevero e arrivo.
Credo di essere al limite dell' universo. Scorgo una piccola volta che mi rivela un paese brillante. Mi curvo per guardare sotto l'arco. Dopo che ho veduto, muoio dalla brama di passare.
Una mano invisibile mi mette una benda su gli occhi, io mi abbasso e passo sotto la volta.
Compiuto il tragitto, la benda cade. Mi vedo a fianco il fanciullo che mi aveva fatto da guida. Egli sta alla mia destra. Alla sinistra ho per assistente il vecchio che avevo visto uccidere qualche tempo prima.
“Silenzio!” mi dissero i due assistenti quando accennai a prendere la parola per attestare la mia gioia di ritrovarmi con loro. Io mi conformai quindi al loro cammino, senza far parola.
Arrivammo così al recinto ove si e in condizioni di vedere più da vicino il Candeliere a sette bracci. Le mie guide ruppero il silenzio per farmi una lezione a questo riguardo. Non avevo ancora visto la luce cosi da vicino.
Il vecchio mi insegnò la scienza dei numeri. Calcolammo il numero tre: appresi il sette e trovai il numero nove.
Mi si insegnò l'uso del compasso. Così tentai di misurare e dividere le dodici figure dello Zodiaco. Il mondo planetario non ebbe più nessun velo per me, perché il tempo della prima operazione era ormai venuto.
Sono trasportato fin nella dimora del sole. E siamo sempre tre.
Non discorro più con uomini, ormai. Esseri affatto immateriali, i miei maestri sono quelli che formano la catena collegante la creatura al Creatore. Depositari dei più grandi segreti dell'arte e della natura, questi Geni mi fanno veder tutto.
Uno di questi Geni si unisce a me per non più lasciarmi. E io mi abbandono a lui interamente. Egli mi chiede conto delle ceneri del mantello che era stato bruciato qualche tempo prima.
Passiamo nel laboratorio, il solo che esiste; là tutto è pronto, ad ogni ora.
Le ceneri vengono gettate in un crogiuolo: il fuoco agisce, e la materia non e più lei. Mentre che Saturno doveva dar battaglia ad alcuni satelliti, il mio Genio mi condusse in un edificio poco lontano dal laboratorio.
Occorreva ancora una espiazione per poter giungere al termine desiderate. Vidi uccidere molti uomini: il loro sangue colava in un bacino ove io fui disteso e condannato a restarvi due ore e mezza.
Quando uscii dal bagno, ero affatto diverse da quello che ero quando vi ero entrato. « Ritorniamo al laboratorio » mi disse il Genio «vediamo se ti ci potrai introdurre. »
Eccomi alla porta: i miei sforzi per entrarvi sono inutili, Altra espiazione da fare. Nuova ed ultima preparazione.
Prendiamo in mano la sfera e frughiamo tra gli astri per poter condurre a termine la Grande Opera.
Noi facciamo grandi sforzi per aprire il Libro: appare il lampo, scoppia la folgore, l'incanto cessa, e il Libro è aperto. Capolavoro della intelligenza celeste, questo Libro non conteneva per me altro che enigmi: ma io avevo gia tanto veduto che i miei occhi furono ben presto in grado di toccare la verità, per quanto essa fosse nascosta nel labirinto dei geroglifici.
Scopro i segreti e la saggezza del più grande dei Re. Le lingue antiche mi diventano familiari; e arrossisco dell'errore in cui ero stato fino allora.
Passarono alcuni anni nello studio e nel silenzio. Il mio Genio non mi aveva lasciato. Era tempo di ritornare alla pratica. Ma occorreva qualche cosa di più per poter rientrare nel laboratorio senza correre il rischio di perdervi la vita.
Il giorno si nascose, ed io ebbi paura. Il mio Genio mi prese per mano, e guidò i miei passi verso una grossa pietra sulla quale era una lampada che non dava che un debole bagliore. Accanto alla lampada era una coppa vuota. Presi la lampada e la coppa, e feci qualche passo per giungere,ad
una fontana ove a quanto mi era stato detto avrei potuto bere.
Lasciai la coppa presso la fontana e conservai la lampada per guidare i miei passi malsicuri.
Mi si presento un vasto bacino, pieno di una materia liquida: non era acqua, perché era bianca e brillante come l'argento. II mio Genio mi gettò nel bacino. Là rimasi tre giorni. La lampada si consumò, ma io non avevo sofferto alcun male. All' uscire dal bagno prendemmo la strada del laboratorio. Il giorno ricomparve in tutto il suo splendore.
Io non dovevo più rivedere le tracce del Padre delle Tenebre.
Entrando nel laboratorio, vedemmo con rammarico che il fuoco si era spento e che l'operazione era appena incominciata. Marte non era affatto apparso; Giove era ancora intatto; Venere era libera, ecc, ecc. Rimettemmo del carbone nel fornello. Il Crogiuolo ridivenne rosso, e noi ci disponemmo a terminare l'opera.
Occorreva che io stesso subissi la Prova delle Prove. Passammo in un salone ove alcuni ciclopi davano agli eletti quelli che bisogna chiamare « bagni di fuoco ». Tutto era pronto.
Io fui messo in quell'elemento liquido e distruttore.
Tutto il mio essere sembrava prendere un'altra forma. Non mi rimase della spoglia materiale, se non quello che occorre per poter essere detto uomo.
Io non sono più lo stesso. Rientro nel laboratorio: le sostanze si uniscono e si separano a seconda della mia volontà. Appare il rosso, il verde lo distrugge, il bianco trionfa; il rosso ritorna a mio piacimento, e la Natura non ha più nessuna officina segreta.
Ecco ciò che ho visto e ciò che ho fatto io, e ciò che ogni uomo laborioso e costante può ripetere. Si troveranno sentieri, come li ho trovati io, anche nei luoghi più selvaggi.
Colui che mi ha guidato nei miei lavori mi ha lasciato la scelta di istruire i miei simili o di godere tutto solo il frutto delle mie veglie. Ho preferito il primo partito. Non l'ho tuttavia potuto fare che sotto note condizioni. Ma queste condizioni possono arrestare soltanto l'uomo poco abituato alla ricerca delle grandi cose.
Io ho fatto tutti i miei sforzi per farmi capire: per comprendermi, ne occorreranno ben pochi.
FINE DELL'APOCALISSI ERMETICA. |