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L'Apocalissi Ermetica (seconda parte)
(15/05/2006)

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Eccomi solo. Considero l'esterno del vasto edificio in cui devo penetrare.   Essendo stato  avvertito  di  fare una scelta ponderata tra  le  sette porte che vi conducono,  mi guardo bene dal presentarmi alla prima senza avere esaminato le altre sei. Cammino e osservo : ma la mia incertezza non fa che accrescersi, perché le sette porte si rassomigliano tutte perfettamente.

[Intanto] scorsi un uomo, messo come una statua, e immobile come una statua vera : soltanto il movimento dei suoi occhi mi diceva che era vivo. Incerto come ero, corsi a lui per chiedergli informazioni : ma  avevo  appena  incominciato a parlare ch'egli interruppe la domanda dandomi uno schiaffo.

II contatto della sua mano mi rese istantaneamente simile a lui. Divenni statua, a mia volta ;  e vidi colui che mi aveva  schiaffeggiato  avanzarsi verso  la porta che era di fronte a me e introdursi nel labirinto.

Ho passato tre anni in quella situazione e sempre allo stesso   posto : e ho visto,   durante   questo   intervallo, cose che non posso rivelare che in parte. Animali di ogni specie   passavano  incessantemente  ai miei lati. E talvolta c'erano tra loro di quegli esseri misti che si chiamano tuttavia   uomini, coperti  di un abito   bruno,  bianco,   nero o bianco e nero insieme. Questi ultimi apparivano molto  in collera con me. Taluno dì essi portava una lunga barba, e tutti   avevano  attorno al corpo  una corda. Uno di  questi esseri incappucciati venne verso di me e mi consegnò un grosso volume intitolato, « Delle pene dell'Inferno » : io lo presi dalle sue mani, e lo lessi.
Un giorno, dopo tre anni di prova, vidi, al levar del sole, venire verso di me un uomo alquanto impacciato. Mi ricordai allora di ciò che mi era   accaduto in seguito  allo schiaffo della statua. Come egli mi fece la stessa domanda risposi alla stessa maniera., e l'incanto non fu per nulla diverso.



Sostituito così da un altro, presi la strada che tre anni prima avevo   vista  seguire dal mio predecessore.  Mi presentai e una  porta che si aprì con rumore non appena vi,fui vicino. Due guardie, armateci spada, si impadronirono di me senza dir parola. Un terzo uomo mi coprì con un magnifico mantello. Dopo aver fatto alcuni passi in una maniera conosciuta da qualche persona, fui introdotto in un piccolo   padiglione   ove   trovai una tavola bene imbandita.

Tre specie di cibi mi furono offerti in questo pasto: io ne mangiai, e le mie forze furono ristorate all'istante.

[Ed ecco] alcuni colpi si fanno sentire. Guardo le mie guide per sapere che cosa vuoi dire quel segnale, ma tutto è sparito : io sono solo. Mi alzai ; e poiché l'entrata del padiglione era chiusa, mi posi ad esaminare i quadri  che  decoravano   il   salone. Uno  rappresentava un fanciullo seduto presso un ruscello di latte, con una coppa in mano.

In un altro quadro si vedeva un vecchio infermo, steso su piume di corvo.

In un altro, il pittore aveva figurato una capra allat­tante un leone.

II quarto quadro rappresentava un mare di fuoco sul quale fluttuava  una boccetta che alcuni uomini si sforzavano di raggiungere ed afferrare a nuoto.

Mi venne l'idea che quelle pitture allegoriche doves­sero indubbiamente contenere qualche verità. Nella certezza che non fossero state messe là se non per istruirmi, mi diedi a cercarne il senso. Fissai nuovamente il primo quadro; e siccome era posto io un angolo ove la luce del giorno non giungeva interamente, lo levai dal suo posto per met­terlo altrove ed esaminarlo più da vicino : ma non l'avevo ancora rimosso che già non pensavo più a studiarne l'alle­goria. Quel quadro infatti mascherava l'entrata di un ma­gnifico appartamento ove credetti vedere una donna giovane e bella stesa su di un divano e tutta coperta di fiori.

La passione mi fece smarrire, o — a dir meglio — io fui ingannato dalle illusioni della natura. Slanciarmi nell'appartamento e cadere a ginocchi davanti alla bellezza, non fu per me che un istante. Ma, lasciando il padiglione, io ebbi la disgrazia di lasciarvi il mantello di cui ero stato coperto all'entrare nel labirinto.

Seduto presso la bella che si era svegliata, mi accorsi di avere un cuore; credetti di veder palpitare il suo e mi abbandonai a tutti gli incanti dell'amore.

Dopo qualche tempo di piacere, sentii bussare alla porta dell'appartamento. La mia compagna aprì, e riconobbi le due guardie che mi avevano condotto nel padiglione: esse impugnarono nuovamente le spade e mi fecero cenno di seguirle.

Mi condussero e mi lasciarono solo in una sala ove era un altare. Mi avvicinai e vidi un agnello disteso sopra un grosso libro. Siccome mi proponevo di aprirlo, apparve al mio fianco un uomo vestito di nero e mi abbatté con un colpo che mi diede alla fronte.

Perdetti i sensi, e non rinvenni se non dopo qualche ora. Mi ero già risollevato quando l'uomo mi rovesciò di nuovo, bruscamente, come aveva fatto prima: e ciò si ripeté per tre volte. Dopo, egli mi domandò perché mi trovassi in quei luoghi senza il mantello di cui ero stato coperto all'atto della mia presentazione. Non sapendo ove lo avessi lasciato, non potei rispondere. Il mio silenzio attestò la mia confusione: e fui condannato a viaggiare fino a che non avessi ritrovato [il mantello perduto].

Lo stesso uomo vestito di nero mi condusse fuori della sala. E io mi trovai così in una foresta, solo, senza vesti e senza difesa.

II Cielo sì copre di fitte nuvole, cadono i fulmini e i  lampi mi  fanno   accorgete, ad  intervalli, che io sono circondato da precipizi e da bestie feroci.



Scorgo un rifugio sotto una pietra enorme che chiu­deva da un lato una   volta assai   stretta :   vi  penetro, e mi trovo a fianco di una tigre che vi si era rifugiata per le mie stesse ragioni. Scorgendola, non osai fuggire perché temevo. Ma vidi che essa aveva  paura quasi  al  pari   di me. Il   tempo si  faceva  sempre   più   scuro.   La  pioggia, l’uragano, i tuoni ed il mio  terrore crescevano incessan­temente.

Un lupo si presentò per approfittare del rifugio che dividevo con la   tigre. Quest' ultima si   scaglia sul nuovo venuto:   essi  combattono, si  dilaniano e  si  soffocano   a vicenda.

L'uragano [intanto] sì è calmato, e il Cielo è sereno. Io lascio la mia grotta e cerco un sentiero nella foresta.

Dopo aver camminato per qualche tempo, mi trovo in una pianura e vedo un sentiero al principio del quale riconosco un contrassegno come quelli che metteva il fanciullo nell'accompagnarmi al labirinto.

Seguo dunque questo sentiero, il quale mi riconduce al giardino che avevo trovato nell' uscire dal mare. Entrando nel giardino, guardo attorno a me e cerco il fanciullo che mi aveva fatto da guida. Lo vedo presso una fontana. Siccome era disteso, credetti che dormisse ; ma quando gli fui vicino vidi che era morto, perché il movimento del cuore e quello della respirazione erano affatto fermo. Li presi allora nelle mie braccia lo scossi in diversi sensi, incollai la mia bocca su la sua per richiamare il calore nei suoi polmoni, ma tutto fu inutile. Tentai delle frizioni con le diverse piante che vedevo nel giardino; uccisi anche parecchi animali, nella speranza di trovare qualche rimedio. Ma le mie cure, i miei rimpianti, le mie lagrime, i miei voti al Creatore non ebbero successo alcuno.

Non mi restava ormai che rendergli gli ultimi onori. Scavai la sua tomba con le mie mani, e ve lo deposi.

Sparsa qualche lacrima sincera sul tumulo, mi posi a percorrere il giardino per cercarvi un asilo e degli esseri simili a me. Ma qualsiasi strada  prendessi, mi  ritrovavo sempre là dove avevo seppellito il bambino.

Compresi allora che era inutile fare degli sforzi per allontanarmene. Mi stesi  dunque sul  prato, e vi passai alcune ore nel sonno più profondo.

Le mie pupille sì riaprirono alla luce del giorno. Ma quale fu la mia sorpresa quando vidi un ramo d'albero messo sul tumulo, e attorno ad esso un serpente. II mio primo movimento fu quello di allontanarmi, ma poi meditando su quella circostanza misteriosa, m'armai di  coraggio e uccisi il serpente. Quando lo colpii, tre gocce del suo sangue colarono su la tomba. Il ramo dell'albero e i resti del serpente  rientrarono  nella terra, e  il bambino  che avevo tanto lacrimato fu restituito alla vita.

<< Per te, mi disse, avevo  perduto la   vita: ora tu  me   l'hai   resa, e  siamo  pari.  Senza il  sacrificio dei miei giorni — soggiunse —  tu oggi non  saresti  vivo >>.
Egli si spiegò tre volte nella stessa maniera, e io lo compresi.

FINE SECONDA PARTE

 

(tratto dal libro "Il gran libro della Natura" a cura di V. Soro - Ed. Atranor)

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